mercoledì 24 gennaio 2018

"Ombre" di Ernst H. Gombrich: la rappresentazione dell'ombra portata nell'arte occidentale

I pittori cinesi di certo conoscevano l'ombra, eppure non se ne sono serviti per secoli. Anche in Giappone la pittura non ha registrato quel ricorso all'interazione fra luce e ombra che ha improntato, con i suoi fraseggi, tantissime opere dell'arte occidentale. Eppure, proprio in quest'ultima, la vicenda dell'ombra è tutt'altro che lineare: è controversa, carica di riflessioni estetiche, fisiche e filosofiche, percorre trasversalmente ma senza una vera continuità la storia della pittura prima e della fotografia poi. Di volta in volta e di caso in caso, l'ombra richiama una presenza-assenza (quella del corpo che la proietta), un'inclinazione di luce, le superfici su cui cade, spesso verticali o orizzontali. È un percorso iconograficamente ricco anche se necessariamente parziale quello che compie Ernst H. Gombrich in Ombre. La rappresentazione dell'ombra portata nell'arte occidentale (Einaudi, pp. XXIV - 72, euro 22, traduzione di Maria Cristina Mundici), libro riproposto in una nuova edizione iconograficamente arricchita, con la prefazione dell'ex direttore della National Gallery di Londra Neil MacGregor (autore del fortunato La storia del mondo in 100 oggetti e del più recente Il mondo inquieto di Shakespeare, entrambi tradotti in italiano da Adelphi). MacGregor ricorda nel suo scritto che il libro nasce in occasione di una mostra sul tema dell'ombra ospitata nella primavera del 1995 nella Sunley Room della National Gallery. 

Una breve riflessione sul titolo originale: Shadows: The Depiction of Cast Shadows in Western Art ci parla forse di un minor grado di distinzione terminologica attorno all'ombra che la lingua italiana sembra  praticare. Anche l'italiano sa distinguere all'interno dell'ombra, tuttavia sentiamo raramente distinzioni in merito all'ombra (certo il discorso può cambiare laddove il discorso si fa specialistico). La lingua inglese, più frequentemente, si trova a distinguere nel continuum che si crea tra "core shadow" e "form shadow" ("ombra propria", ad esempio di uno dei lati di un cubo rispetto all'altro) e "cast shadow" ("sbattimento" o "ombra portata" da un oggetto su una superficie). Com'è chiaro, è il secondo tipo di ombra che interessa Gombrich e viene da chiedersi, sulla scia di Panofsky, Warburg e Cassirer, se anche all'ombra potremmo riferirci come a una "forma simbolica". Questo però è un percorso che ci porterebbe troppo distante dal breve libro di cui si scrive.


Masaccio, Pagamento del tributo
(Cappella Brancacci, Firenze, 1425)
Si sa quali valenze ha racchiuso l'ombra nella storia del pensiero, dell'arte e della letteratura: dalla caverna di Platone, all'Ade dei greci, dalla Storia straordinaria di Peter Schlemihl di Von Chamisso (e non si contano davvero i titoli con la parola "ombra" o "ombre" al loro interno, da Conrad a Daniele Del Giudice di Staccando l'ombra da terra) alle applicazioni junghiane del concetto di ombra. Questo per stare alla rilevanza e al portato della riflessione sull'ombra. Ma il percorso di Gombrich, come spesso accade nelle opere di questo storico dell'arte improntate a un'efficacia immediata, si snoda con tono persuasivo a illustrare le diverse valenze dell'ombra nelle opere di Masaccio, Leonardo, Rembrandt, Caravaggio, Tiepolo, Canaletto, Guardi, Turner, De Chirico (solo per citarne alcuni), fino ad arrivare alle fotografie di Cartier-Bresson.

Nel trattare il gigantesco e talvolta ripetitivo rapporto con le "cose" che la contemporaneità ha agganciato (le cose sono ovunque, sono nominate così, semplicemente "cose", in modo ossessivo e talvolta disarmante), spesso dimentichiamo di confrontarci con quella forma grigia che s'attacca a queste cose e che dipende strettamente dalla loro interazione con la luce. Si tratta di una dimenticanza inspiegabile. Gombrich, che ha facilità come sempre a muoversi attraverso i secoli e gli spazi dell'arte, ma che ha altresì un tono così raro nell'esporre i propri ragionamenti (MacGregor parla nella "Prefazione" di uno scrittore che sembra intrattenere col lettore una "lezione privata"), ancora una volta riesce nell'intento di preparare e al contempo disarmare il nostro occhio quando si trova davanti a un nuovo quadro o a una fotografia. Il risultato sono poche efficaci pagine in cui accadono delle scoperte che autore e lettore sembrano fare assieme, in un percorso che abita pienamente sia il territorio della ricerca artistica che quello della divulgazione più scrupolosa.

Nessun commento:

Posta un commento