giovedì 8 febbraio 2018

Quanto ci piacciono vintage anche le patrie lettere!

Libri brevi che mi piacerebbe scrivere o trovare #14


La celebre radio "Cubo" di Brionvega
Recentemente ho letto in una rivista l'espressione "economia della nostalgia" per riferirsi al fenomeno del vintage, ovvero a tutta una serie di prodotti, pratiche e passioni che richiamano design, abitudini o comportamenti d'acquisto del passato, tornati in auge in questi anni. Collegata al fenomeno del vintage vi è una fetta di prodotti che sta generando discreti profitti (posso osservare qualcosa di questa tendenza anche nel lavoro che faccio). L'icona di tutto ciò, anche se alla fine credo che non sia corretto intenderla come tale, potrebbe essere il vinile nell'ambito della musica, un oggetto tornato ad avere un'insperata nuova vita e un mercato significativo, se paragonato ad esempio a quello del concorrente compact disc (chiaro che poi esiste tutto un altro universo di fruizione musicale, ma lì non siamo più nel mercato o comunque si tratta di un universo funzionale a altri mercati, solo parzialmente legati a una data opera musicale). L'ambiente delle lettere credo non faccia eccezione e che ricada pienamente dentro questa tendenza vintage, con l'aggravante però che è più vintage nei modi che nei prodotti che sforna (quando sforna prodotti vintage poi non sempre fa il successo dei vinili): continuiamo a fare i libri con un determinato approccio e visione, ma soprattutto continuiamo a parlare, a infervorarci e a (non) dibattere come se ci fosse un contesto simile a quello di Calvino e Pasolini, probabilmente con sterili sintesi da Bignami di quelle polemiche ancora in testa. Il mondo però è accelerato in fretta da allora e se ci interessasse davvero la letteratura in tutte le sue declinazioni - poetiche filosofiche e narratologiche per dirne solo tre - dovremmo provare una sorta di nausea per questo sfasamento che si crea tra una realtà che ci chiede di raffinare alla svelta i nostri strumenti di analisi obsoleti e un contesto culturale e editoriale (pseudoproduttivo e in tanti comparti persino antieconomico) ancora legato a quelle logiche di cinquant'anni fa, a quelle ambizioni, a quelle strettoie di pensiero che si ritrovano catapultate e inservibili in un contesto profondamente mutato. In tale scenario, anche per un critico dovrebbe essere prioritaria la necessità di riconoscere l'innovazione rappresentata da un'opera dell'ingegno o da una metodologia inedita.

Questa fascinazione per quello che è stato il passato di qualche decennio fa, per le caratteristiche di certi dibattiti, per le linee di forza di un dato campo magnetico che si era creato allora, continua a esercitare un influsso balordo sui "giorni nostri", nel modo in cui ci relazioniamo tra persone appassionate di libri e letteratura, e condiziona talvolta persino il puzzle dei temi; detiene un potere persino su quella cosa intima che ci muove quotidianamente e che si chiama desiderio. Certo, nel frattempo un social parolaio come Facebook ha fatto la sua comparsa e si è appropriato dell'attenzione e del tempo che lì si trascorre, inserendosi in molteplici interstizi della vita quotidiana (a quello è in fondo interessato, quello ciò che gli vendiamo: tempo e abitudini). Sappiamo però che demograficamente sta diventando meno rilevante, soprattutto nelle fasce d'età più giovani: i mezzi quindi passano relativamente in fretta, così come tante discussioni, e il ragionamento attorno ai mezzi non dovrebbe portarci via troppo tempo o farci perdere di vista quello che serve. Già, ecco il punto: che cosa serve, posto che qualcosa col nome di letteratura rimane in orizzonte? Cosa potrebbe rendere il mondo delle patrie lettere interessante, dentro e fuori l'Italia, oltre gli steccati sempre più insormontabili del narcisismo? Credo serva riscoprire l'abc di una discussione, far sfiatare tutto il retropensiero accumulato (anche grazie al maldestro utilizzo dei nuovi mezzi), uscire da una logica binaria di piacere/non piacere, porci in uno scenario argomentativo e tematico che sappia sganciarsi dalle ventate dell'effimero. Serve più oblio anche, non solo più memoria. La capacità di immaginare una situazione differente (non dico nuova, ma differente) è spesso imbrigliata dentro la camicia di forza del vintage, del retrò, del carosello delle best practices di quel passato che ci appare ancora glorioso e forse migliore del nostro tempo. I pozzi e le fonti però erano e rimangono tutti (o quasi tutti) avvelenati. È inoltre inutile credere che nella connessione spinta comunichiamo tutti, all'estremo opposto è anche inutile pensare che solo gli isolati comunichino. In questo contesto solo una procedura che riparta daccapo e prosegua per argomentazioni e confutazioni può ristabilire un microclima dove poter anche respirare, dove sia possibile ricominciare a imparare adesso che siamo diventati tutti saputelli. Ma come ristabilire l'argomentazione quando argomento è diventato solamente "ciò di cui si parla" e non più una porzione di pensiero o testimonianza a sostegno di una tesi? (Se questi pensieri hanno un senso, mi piacerebbe trovare chi sappia svilupparli meglio, anche in un libretto, oppure smontarli del tutto.)

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