martedì 19 dicembre 2017

"Quel Carso felice" di Srečko Kosovel. Uno scritto di Michele Obit e la traduzione di tre poesie

Transalpina Editrice ha da poco pubblicato Quel Carso felice, una raccolta di 40 poesie del poeta sloveno Srečko Kosovel (Sesana, 18 marzo 1904 – Tomadio, 27 maggio 1926). Il volume è curato da Michele Obit, autore anche delle traduzioni. Di seguito potete leggere un suo breve saggio e tre poesie tradotte.

«Attraverso la finestra vedo la strada, una bella strada grigio argento, luccicante nel sole autunnale. Di fronte c’è un muro, dietro il muro un ciliegio, dietro il ciliegio un pergolato, dietro il pergolato un campo, dietro il campo una landa, dietro la landa dei pini, dietro i pini le colline.
Questo vedo attraverso la finestra. E sotto la finestra scorre la strada e per essa la vita. Silenziosa si riversa da chi lo sa quanti anni per queste valli, ancor prima ci fosse questa strada, ancor prima ci fosse questa finestra, ancor prima ci fosse questo uomo che osserva e pensa.»
Noi lo immaginiamo, Srečko Kosovel, mentre attraverso le sue lenti sottili si immerge in quel paesaggio che non è cambiato poi tanto da allora — sono passati quasi cent’anni —, solo la strada è oggi asfaltata, ma non mancano i muretti ed i ciliegi, e la vita contadina qui non si è ancora arresa allo strapotere delle industrie e dei centri commerciali. Qui è Tomaj, oggi poco più di trecento abitanti, sull’altopiano carsico sloveno, nel comune di Sežana. La casa dove Kosovel ha vissuto gli ultimi anni della sua troppo breve vita, e da cui osservava quel paesaggio così mirabilmente descritto, esiste ancora, ed è diventata una casa-museo che offre ai visitatori oggetti, libri e sensazioni di quella che è stata una vita breve e intensa, sofferta e poetica.
Srečko nasce il 18 marzo 1904 a Sežana, ultimo di cinque figli. Il padre, Anton, di origine contadina, è prima maestro e poi direttore della scuola elementare del paese. È appassionato di musica e dirige un coro. La madre, Katarina Stres, originaria di Sužid presso Kobarid (Caporetto), è stata dama di compagnia di una nobile famiglia triestina. Srečko è il più giovane di cinque figli, il beniamino della famiglia. Più del fratello Stano e delle sorelle Karmela, Anica e Antonija avverte, allo scoppio della Prima guerra mondiale, lo strappo da un'infanzia serena, vissuta in un ambiente armonioso e denso di attività culturali, anche all'interno della stessa famiglia Kosovel. Famiglia che nel frattempo si è trasferita a Tomaj.
Nel 1916 Srečko si iscrive alle scuole superiori di Lubiana, dove è costretto a vivere in misere condizioni, in austere camere d’ affitto condivise con i compagni dei corsi. Gli anni di Lubiana sono caratterizzati dall’intenso studio e da una vita ascetica, che però non gli precludono la partecipazione alla vita culturale della città. Ma sono anche, e forse soprattutto, gli anni in cui nell’animo del poeta trova forma quel sentimento che gli sloveni usano indicare con la parola hrepenenje, termine che si potrebbe tradurre con desidero, anelito, ansia, non fosse che contiene qualcosa di nostalgico, il rimpianto per ciò che non è accaduto e tanto meno accadrà. Questa è la brama che Kosovel prova per il suo Carso, per un paio di anni raggiunto solo durante le vacanze scolastiche, poi, conclusa la guerra, ancora più lontano: un confine lo separa dalla sua casa e dai familiari. Da una parte il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, riconosciuto dalla Conferenza di pace di Parigi nel 1919 (per Kosovel, come scrive in una lettera a Dragan Šanda, poeta e professore di francese, la condizione degli sloveni è quella di chi si sente «sotto i tacchi dello jugoslavismo»), dall’altra l’Italia fascista, che perquisisce l’abitazione familiare perché il padre non vuole iscriversi al partito.
Il Carso, comunque, resta la ‘casa’. Ha scritto mirabilmente Boris Pahor, raccontando un poeta da lui molto amato e consentendo a noi di avvicinarci alla sua prima fase poetica, quella impressionista, quella dedicata alla nostalgia dei momenti felici: «Non è affatto strano che il giovane, innamorato della sua terra, senta confondersi nel suo essere un mare di energia, oppure provi l'impulso di inginocchiarsi davanti all’infuocata solennità dell’altro solare, andando poi per il Carso come un re, pieno di nuova vitalità.».
Kosovel trasforma questa vitalità in poesia. Lo fa cogliendo, del paesaggio impressionista, di ciò che osserva dalla finestra della casa di Tomaj — quel paesaggio così diverso dalla grigia coltre nebbiosa e dalla severità dei palazzi austroungarici di Lubiana — soprattutto alcuni aspetti: l’influenza della bora, la presenza dei frutti che di stagione in stagione colorano i campi, il profumo dei pini, alberi che paiono sentinelle, mentre il poeta e la sua gente sono colti dal turbamento dovuto alla presenza di un'autorità straniera. Così in Pesem s Krasa (Canto dal Carso) cogliamo un aspetto, un piccolo quadro del paesaggio carsico: peculiari sono, per la zona di Tomaj, due boschi di pino, uno a sud e l'altro a sud-ovest del villaggio, che fanno da contrasto alla landa carsica che si estende tra essi. I pini, alberi scuri odoranti di resina, il poeta li assume come fossero parte di sé, e così facendo li anima. In Vas za bori (Il paese dietro ai pini) comincia ad insinuarsi un cambiamento, pur se tutt'altro che brusco, verso l' espressionismo, con l'uso di nuove metafore: le braccia degli alberi, il villaggio come un uccello, stretto nell’abbraccio dei pini. In Balada (Ballata) è descritta con versi brevissimi la tragedia dell’uccisione di una cesena, forse testimonianza di una sciagura di ben altre dimensioni di cui il poeta è di certo consapevole. E ancora in Premišljevanje (Riflessione) all’immagine del paese carsico silente si aggiunge la nostalgia per il focolare di casa, l’impossibilità di un veloce ritorno tra le mura domestiche. Fino ad arrivare a Pesem s Krasa (Canto carsico) dove solo la solitudine del poeta toglie per un attimo splendore ad un paesaggio nel quale è possibile non solo vivere, ma anche combattere ed essere giovane e sano.
(...)

Michele Obit


Tre poesie da Srečko Kosovel, Quel Carso felice, Transalpina Editrice.


Strada dei solitari


Appoggiato alla finestra osservo
i castagni dondolare lievemente,
un vento tenue vi è rimasto
impigliato, come un sogno inconsistente...

Ah, le nuvole così se ne sono andate
in uno sfavillio dorato, un lucore
e solo io qui son rimasto
in questo luogo senza rumore.

Come farfalle hanno volato,
vedo ancora delle ali il bianco luccichio,
sono rimasto solo, tutto solo.
Dove andare, qual proposito fare mio?


Cesta samotnih


Na oknu slonim in gledam
mehkó zibajoče se kostanje,
rahel veter se je ujel
vanje, rahel kot sanje...

Ah, odplavali so oblaki
v zlatem blestenju, v zlatem sijaju
in samo jaz sem tu ostal
v tihem tem kraju.

Kakor metulji odplavali so,
še vidim belo blestenje njih kril,
sam sem ostal, sam, čisto sam.
Kam in kod, kje mi je cilj?



Viaggio


Qui e là. Solo un breve viaggio.
L’albero, la torre. E la casa. Un monte. Un versante.
Come una fredda malinconia. Come sogni silenziosi.
Te ne vai. Un palpito stanco e pesante.

La stazione. Il ristorante. E le foglie
che dai castagni cadono sulla tavola imbandita.
E quella signora. Silenziosa e sola.
Lo sguardo. Le foglie brune. Un’impressione sbiadita.

Terra straniera: come l’autunno e la sconosciuta
tutta fuggevole, fredda. Qui da noi c’è tepore.
Le foglie svolazzanti. Verso le Caravanche.
Un tunnel: brilla il suo occhio nel tenue chiarore.


Potovanje


In tu in tam. Le bežno potovanje.
Drevo in stolp. In hiša. Gora. Hrib.
Kot žalost mrzla. Kakor tihe sanje.
Odhajaš. Truden in težak utrip.

Postaja. Restavracija. In listje
se siplje raz kostanje preko miz.
In tista dama. Tiha je in sama.
Pogled. Rjavo listje. Bežen vtis.

Tujina: kot jesen in kot neznanka
vsa bežna, mrzla. Tu pri nas topló.
Leteče listje. Proti Karavankam.
Tunel: v poltemi sije nje oko.



Alla stazione provinciale


Sull’ottone (rotelle dorate,
dentellate e lisce, tasti ossuti)
luccica il sole
come avesse gli occhi socchiusi.
Qui e là la rotella si solleva –
un accordo lontano si è desto,
l’impiegato scioglie il nastro –
ogni giorno la stessa chiamata...
Monotoni passi, chiusi nell’atmosfera
da ufficio – due binari vanno al mondo,
attraverso la finestra – la desolazione del Carso,
pini e ginepri, acacie, fiori selvatici –
quattro treni al giorno. – –
Un suono. Da sopra i pugni
ha sollevato le guance
destandosi dai mesti sogni.


Na provincialni postaji


Na medenini (zlata kolesca,
zobata in gladka, tipke koščene)
sonce blešči
kakor s polzaprtimi očmi.
Tu in tam vstane kolesce –
daljen akord se je zbudil,
uradnik odveže trak –
vsak dan enak poziv ...
Monotoni koraki, v pisarniški vzduh
zaprti – dva tira v svet,
skozi okna – puščava Krasa,
brinje in bori, akacije, divje rože –
štirje vlaki na dan. – –
Pozvonilo je. Iznad pesti
je dvignil lice
in vstal iz žalostnih sanj.


(traduzioni dallo sloveno di Michele Obit)

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