sabato 11 novembre 2017

La poesia italiana degli anni Duemila. Un percorso di lettura fenomenologico di Paolo Giovannetti, tra spunti più o meno efficaci

Spesso, quando si cerca di perlustrare i territori dell'iperproduzione poetica contemporeanea italiana (solo contemporenea e solo italiana?), emerge il confronto con la musica, e si finisce per ricordare come in quell'ambito nessuno si crederebbe musicista senza un'adeguata formazione. Il confronto, che implicitamente accusa la poesia di dilettantismo diffuso, ha senza dubbio le sue ragioni, ma dimentica che la formazione e preparazione non sono tutto: musicisti grandi e diversi, come ad esempio Carlos Kleiber e Vinko Globokar, erano letteralmente divorati da dubbi costanti e radicali sull'essenza dell'interpretazione e dell'esecuzione in musica. Di certo, quantomeno, avevano a lungo studiato. Ecco allora emergere un punto primario: lo studio: bisogna anche studiare. Poi una certa dose di autodidattica e iniziativa individuale è sempre necessaria, perché la scuola e lo studio da soli non sono certo tutto. Allo stesso tempo, lo studio di qualche manuale di metrica e la frequentazione assidua di certe pubblicazioni dedicate alla poesia non può e non deve essere la ragione sufficiente per ingolfare un nuovo universo di sapientoni e sapientini-scuola che mostrano di saperne a pacchi di poesia, che cosa lo sia e che cosa non lo sia. Lo strumento antologico, per riferirsi a un'istituzione un tempo davvero utile e usata criticamente per "fare cernita" e critica, si è appiattito, ora sulle velleità del curatore di turno, ora su un ecumenismo e inclusivismo tronfio e distratto, ora sul perseguimento di un'idea comune anziché sull'ossessione per distinzioni e differenze tra le singole poetiche. Siamo evidentemente nell'era del "mi piace", una azione-pulsante irrazionale, immediata e trasversale, su cui si orientano gli odierni ed effimeri sciami di approvazione o disapprovazione, piaceri e fastidi. Insomma, per quel che mi riguarda preferisco chi studia e legge molto ed è parimenti tormentato dai dubbi, senza però arrendersi a una finta umiltà paralizzata dal dubbio stesso, la quale serve non serve a molto nell'acqua ristagnante dei nostri molti "tempi presentificati". Sono consapevole che grandi sorprese possono arrivare anche da chi ha letto e studiato poco e che non c'è una regola, però direi che in linea di massima studio e lettura vanno preservati come capisaldi. Aggiungerei che sono dei capisaldi anche un vivo interesse, appercezione e curiosità, ma se consideriamo la configurazione egotistica e autistica crescente del panorama letterario, rischiamo di rimanere nauseati o stecchiti all'istante (eppure è parimenti vero che qualcosa di interessante è uscito anche da scrittori egotistici e autistici). 

Parlando allora di studi, rischia di cascare il palco, perché la poesia riscuote un interesse abbastanza scarso nell'ambito degli studi dedicati, sia in quelli specialistici, sia in scritti e avvenimenti che provino a veicolare con piglio più divulgativo le ragioni del suo interesse nel panorama della letteratura. Tra tante recensioni, ad esempio, pochissime sono rimaste quelle dedicate alla poesia e questo dato vorrà pur dire qualcosa (la recensione serve a far vendere, tra l'altro). Anche per i suddetti motivi è utile prendere in considerazione la possibilità di leggere il libro di Paolo Giovannetti. In copertina trovate una finestra che dà su alcune foglie chiare e su un ammasso di libri ripresi nei loro spessori, in posizioni traballanti e precarie. Paiono libri voluminosi e anche datati, non come quelli che vanno per la maggiore nell'ambito della poesia assai recente che costituisce oggetto di analisi del libro. Quasi sicuramente in copertina persiste un'idea di quantità e di disorientamento, ma forse anche la "vecchia" idea di contemplazione poetica, data dalla finestra. Il breve saggio scritto da Paolo Giovannetti e pubblicato da Carocci (pp. 128, euro 13) ha un titolo necessariamente circoscritto, La poesia italiana degli anni Duemila, che assomma un tentativo di punto della situazione e di sintesi su circa tre lustri. Il compito, va da sé, è difficile e nemmeno particolarmente gratificante. In pochi si prendono una briga del genere di questi tempi ma, come si dice in certi casi, qualcuno dovrà pur farlo. Giovannetti allora ha fatto il suo passo e ha tratto dal panorama italiano recente alcune linee di demarcazione. Il suo approccio è fenomenologico, ma non da fenomenologo degli stili e questo è forse il nodo problematico che si è trovato ad affrontare: Giovannetti assomiglia più a un fenomenologo delle aree, delle zone e dei... campi. Il critico e professore ordinario di Letteratura italiana dello IULM di Milano ha allestito un volume agile che si snoda per linee di forza, lungo le quali prova a fornire un panorama - e non certo un'impossibile mappatura o, peggio, una georeferenziazione - del "campo" della poesia italiana più recente (a tal proposito sarebbe interessante usare più spesso la parola campo, proprio con riferimento a Bourdieu, anche quando si affronta la poesia). 

Ogni persona che leggerà questo libro potrà farne l'uso che preferisce, confrontandone i capitoli con la propria esperienza di lettore, fruitore, frequentatore e eventualmente critico della scena poetica e dichiararsi alla fine più o meno soddisfatto di quanto avrà letto. E sebbene dei passaggi possano lasciare perplessi in quanto a incisività o efficacia (la necessità stringente di confezionare un libro non sempre aiuta a sviscerare i nuclei di pensiero più promettenti), c'è da dire che studi del genere dedicati alla poesia recente non sono frequenti e pertanto vanno salutati con apertura. L'interesse, almeno per chi scrive, sta più nel cercare di capire come sono progettati e scritti, sta quindi più nella loro ossatura. Nel modo in cui rimpolpa le linee di forza dei diversi capitoli, l'autore sembra a volte trascurare l'asse dell'opera, a favore di un approccio che ancora privilegia, in ultima analisi, l'asse dell'autorialità e il conseguente appiccicoso "portato dell'autore". Nella trattazione sui rapporti tra poesia e rete, l'esempio di Gilda Policastro serve più che altro a illustrare cosa ha scatenato la pubblicazione di alcuni suoi versi in "Nazione Indiana" e assai meno ad addentrarci nella sua poesia. Si tratta quindi di un'esemplificazione che risente del saggio Polemiche letterarie. Dai Novissimi ai lit-blog di Policastro e meno interessata alla proposta costituita dai libri di poesia che ha pubblicato negli anni. Questa scelta è forse necessaria per contenere entro certi margini una trattazione potenzialmente sterminata: una volta individuate le linee di forza di cui si diceva, l'autore deve preoccuparsi di sostanziarle e rimpolparle con esempi. Da sempre però, e non solo in poesia, appare più utile parlare e scrivere di opere e di libri più o meno riusciti, per quanto il libro non sia più il solo asse di sviluppo possibile di un'opera (ci torneremo prossimamente parlando di Let Them Eat Chaos di Kate Tempest). Capiamo comunque che non è questo lo scopo di Giovannetti, che si mostra più interessato alla creazione di macroaree in cui gli esempi che propone possano via via collocarsi a suffragio delle diverse tesi. In questo sta lo sforzo critico-creativo del suo saggio e qui naturalmente si innesta lo spazio per qualsiasi discussione o dibattito futuro. Ce ne saranno?

Torniamo incidentalmente alla recensione, un testo strumentale che ancora vive in rete o nei giornali, ma che sembra abbia completamente abbandonato il terreno della poesia a favore di frettolosi post nei blog. Detto in altre parole: chi recensisce più la poesia? Le dita di qualche mano bastano. E la recensione, necessariamente, si collega alla fruizione e al concetto di opera (opera di poesia, in questo caso, spesso un libro, ma non solo), che così si trova però priva di un suo consolidato strumento di analisi e divulgazione. Chi ha più la capacità di analisi e visione o la vocazione a una fuga da sguardi impauriti che emerge lampante da Plausi e botte di Giovanni Boine? Nei libri di poesia sopravvivono prefazioni e postfazioni, ma sappiamo bene di quali testi poco interessanti stiamo parlando, testi che molto spesso non sono critica e, nei pochi casi in cui si salvano, sono degli inviti alla lettura ravvicinati alla lettura stessa, degli avalli, dei passaggi di testimone in staffette scoordinate (non parliamo della prevedibilità di quasi tutti i premi letterari). E proprio collegandomi alla mancanza di recensioni, viene da citare la perplessità più marcata che ha sollevato la lettura del libro di Giovannetti, ovvero il già ricordato indebolirsi del concetto di opera. Si ragiona qui per stralci, spesso per autori. Certo, un capitolo che costituisce un nodo essenziale della trattazione si intitola "Il libro come installazione. Cos’è la poesia di ricerca?" e sembrerebbe riportare il libro di poesia al centro, fermo restando che poi l'immagine installativa del libro appare troppo debole, troppo "mutuata" dalle altre arti, e finisce per avallare un'idea ancillare della poesia, che deve per forza ispirarsi da quello che accade nel sistema dell'arte per affermare una delle sue traiettorie nel contemporaneo. E questo accade paradossalmente in un saggio che invece, nei passaggi più efficaci, sa affrontare le specificità più inalienabili della poesia stessa, soprattutto là dove si confronta con la trasmedialità (questo è uno dei nuclei più promettenti, a mio avviso, che ci auguriamo possa essere sviluppato in futuro dall'autore).

Un altro punto da considerare sta proprio nei libri stessi. Non è detto che il libro di poesia scomparirà, ma da più parti, e non ultimo da Amazon stesso e dal self-publishing, ci accorgiamo che ci sono in nuce dei possibili sviluppi per la poesia nei terreni della transmedialità. Ed è qui che Giovannetti infila i pensieri più interessanti ed efficaci: vale ancora la pena leggere poesia, senza troppi piagnistei sui suoi destini, perché si scoprono così certi adempimenti che in un testo poetico funzionano meglio che in altri testi. È pertanto un elemento assai positivo la capacità della poesia di farsi continuamente spiazzare da altri media. In questi ragionamenti, contenuti e ben sviluppati soprattutto nelle battute iniziali del volume, si concentrano i punti più interessanti del ragionamento del critico, i quali comunque non mancano anche nel capitolo dedicato alla poesia lirica. Qui si ricorda giustamente che non è un insulto o un'eresia parlare di "lirica" oggi, semmai è un insulto dimenticarsene o parlarne con poca cognizione. Giovannetti precisa infatti che il poeta lirico del Duemila "non pratica l'improvvisazione irriflessa. Semmai si confronta con il suo contrario: con un eccesso di autocoscienza espressiva." In questi stralci risale una figura di passaggio e confronto ingombrante come quella di Vittorio Sereni. 

L'approccio di Giovannetti è dunque simile a quello dell'etnologo e del fenomenologo. Ciò probabilmente deriva dalla vastità talvolta scoraggiante del "fenomeno" che desidera analizzare. Dopo il capitolo sulla lirica ricordato sopra, segue il già citato capitolo sul libro come installazione. Un capitolo posto in posizione centrale è dedicato all'esperienza dell'oralità poetica: rap, slam e l'oralità della spoken word trovano qui la loro casa ed il capitolo costituisce per il lettore il momento giusto per riguadagnare un fatto scontato quanto essenziale, ossia la grande vicenda della metrica, sulla quale varrebbe la pena tornare sempre più spesso, perché è qui che si gioca il confronto tra opere (anche di uno stesso autore), tra le diverse realtà di poesia nelle diverse lingue. Non poteva mancare un capitolo su poesia e prosa in prosa, uno di quelli più felicemente problematici di questo libro. Il capitolo finale è invece emblematicamente intitolato "Tra muscolarità e regressione: poesia dentro la Rete e Rete dentro la poesia": qui i motivi di interesse stanno già tutti nel titolo che rintraccia due direzioni di sviluppo ormai conclamate e nel nuovo situazionismo che dalla rete potrebbe nascere. La problematicità e la criticità stanno però nello spacchettare la poesia degli ultimi anni in diversi rivoli e poi provare a riproporla sotto una trattazione unica, dentro e fuori i filtri autoriali, delle scuole, delle aree di influenza, delle tendenze e persino delle mode (spero non crediamo che la poesia ne sia immune, tutt'altro). Spesso le distinzioni che si vanno instaurando nel panorama sono false distinzioni sorte da falsi problemi (libro vs. oralità, tradizione vs. neoavanguardie e via dicendo). Con simili dicotomie si obbedisce più alle esigenze di posizionamento nel panorama e quindi siamo in una piena ottica di marketing letterario. Togliete la poesia ai soli poeti e forse sarà un gran giorno. La cosa che va salvata, promossa e riproposta di questo libro è la buona dose di pragmatismo e soprattutto empirismo che prova a mettere in campo. Sono questi due fattori che possono salvare la riflessione estetica dalle paludi soltanto ideologiche dove, a ogni lustro o decennio, in modo avvitato e sterile, rischia di rintanarsi. Senza dimenticare che la lingua, che in poesia continuerà ad avere sempre una posizione preponderante, può diventare ideologia allo stato puro.

Nonostante quanto scritto sopra,  so bene che in questi libri si va a caccia dei nomi, e allora ecco qualche anticipazione per non deludere chi eventualmente è arrivato fin qui: Umberto Fiori, Fabio Pusterla, Paolo Febbraro, Milo De Angelis, Francesco Targhetta, Silvia Bre e Laura Pugno nel capitolo della "lirica"; Alessandro Broggi, Michele Zaffarano, Giulio Marzaioli, Luigi Severi, Italo Testa e Gherardo Bortolotti per il capitolo dedicato al libro come installazione; Lello Voce, Guido Catalano, Julian Zhara, Gabriele Frasca, Giovanni Nadiani e Assunta Finiguerra nel capitolo più musicale intitolato "Voci e corpi del testo"; Angelo Lumelli, Tiziano Rossi, Andrea Inglese e Valerio Magrelli tra altri nel capitolo che guarda alla prosa; Gilda Policastro, Vincenzo Ostuni, Ferdinando Tricarico, ancora Gabriele Frasca, Marco Ceriani, Silvia Tripodi nel capitolo finale che si apre alla Rete. Questo è inoltre un libro che si apre molto anche ai cantautori e alla musica, terreno da sempre considerato attiguo a quello della poesia. Lasciamo al lettore scoprire come rientrino certi cantautori nella trattazione.

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