mercoledì 23 agosto 2017

Poesie di Bill Mohr nella traduzione di Stefano Strazzabosco

Accanto ai ratti di "al cor gentil ratto s'apprende" con le loro poesie inedite, compare un altro animale per nominare uno spazio dove si ospitano traduzioni di poesia: lo stregatto o Gatto del Cheshire di Lewis Carroll. Ratti e stregatti, insomma. Adotterò pregiudiziali e faziosi criteri per vagliare proposte di traduzioni, anche nei casi di lingue totalmente sconosciute come russo, coreano o giapponese (insomma, mi baserò su un traballante concetto di fiducia). Il gatto qui sopra è un particolare del dipinto "San Girolamo nello studio" di Antonello da Messina. Al di là delle molteplici simbologie e caratterizzazioni dei gatti, da Antonello a Carroll (Dante non è tornato utile stavolta perché un po' li snobba), qui proviamo a stregarvi con nuove traduzioni facendo le fusa. L'augurio è incoraggiare la traduzione poetica che un po' latita, anche nelle generazioni più giovani, e che qualche stregatto un giorno possa precipitare altrove, anche in un libro se capita.

Bill Mohr, Una risposta
Versioni di Stefano Strazzabosco

Una risposta

per Leland Hickman (1934-1991)

Una settimana prima che mi rubassero
la macchina, ho guidato
da Ocean Park a
Cahuenga Blvd., e mi sono seduto
vicino al tuo letto.
Dicendo di sì o di no ai titoli
delle poesie che ti leggevo, tu ascoltavi
e dormivi.
                   Gli amici risero
quando dissi: “la mia macchina è andata”.
“Senza offesa, Bill, com’è possibile?”
“Immagino che una vecchia macchina non sia
protetta dalle sue ammaccature”.
Posso prendere il bus per andare al lavoro,
ho pensato, ma come verrò a
trovarti di nuovo prima
che tu muoia. La fortuna arrise
a due poliziotti. Me la restituirono
e ti chiamai: “Posso venire a trovarti”.
“Non oggi. Non mi sento troppo bene”.
Una settimana dopo la tua cremazione,
non mi sei ancora apparso
in sogno. Forse mi avevi
già detto tutto il necessario, ma speravo
in una sorpresa. Ieri
una multa per divieto di sosta
mi ha sconcertato finché ho visto
la data: oh, è di quando
mi hanno rubato la macchina. Bene, bene,
era solo a otto isolati,
ma come potevo sapere
che era così vicina?

Una volta mi hai chiamato alle 2 di notte.
Per caso, ero sveglio, a leggere,
seduto sul mio materasso per
terra. Quando il telefono ha squillato,
l’ho fissato. Ha suonato di nuovo.
“Pronto?” “C’è qualcosa di buono
in quello che scrivo?”, hai sbottato. Ti ho calmato,
lenendo le tue incertezze con le mie.
Non me lo chiederai mai più.
Ora sai la risposta
e può darsi che non sia
quella che tu o io ci aspettavamo.


L’offerta

Una visione interruppe una
delle ultime messe
di San Tommaso d’Aquino, un’offerta gratuita
dagli innumerevoli centri
oltre i venti e le nubi della terra.
Tommaso disse che ora capiva
che quanto aveva scritto era
spazzatura. Migliaia
di pagine, in latino, e
questa era la sua propria
summa. Così mi disse un giovane
prete nel cui calice
avevo versato del vino.
Anni prima di aver scritto
la mia prima poesia, immaginavo
che avrei scritto molto poco
in modo che quando e se una visione
avesse calmato la mia perplessità,
non mi avrebbe sconcertato tanto
la differenza tra le mie parole
e le essenze inseparabili
delle conflagrazioni, la morte e gli accenti divini.


Dopo la pioggia

Un gatto con macchie
color toffee si apposta nel
pollaio abbandonato, striscia
dietro due bottiglie d’acqua – la sua immagine
chiazzata lampeggia nell’acqua,
distorta, poi affonda
e sparisce. Sbucando
dall’alta erba verde,
saltando una pozzanghera –
fissa una cavolaia
svolazzare tra i girasoli.
Scivola lungo una staccionata,
poi salta sopra un albero, già mezzo mangiato
dall’autunno. Quando annusa un ramo,
cade una foglia. Si gira, torna
verso la staccionata. Il vento
solleva qualche foglia gialla.


Negli anni a venire

Io non so niente,
ripeteva l’uomo
prima dell’interrogatorio.
Se sapessi, parlerei.
Non ho nessun coraggio.
Non è necessario
picchiarmi. Collaborerò.
Se volete che accusi
qualcuno che è innocente,
cominciamo pure a scrivere.
Avrete più storie
di quante i vostri bambini
potranno mai leggere,
non importa quanto a lungo
stiano svegli di notte.


Cuoco nudo


Amo vedere un cuoco nudo, dici,
pungolando gli orecchini mentre mescolo
l’avena. Lancio l’accappatoio
su una sedia di fianco al tuo piatto –
un sandwich, una fetta di anguria,
una pesca. Hai ragione. Senza niente
addosso sono elegante. Non mi
vesto quando te ne vai, invece lavo
i piatti, pensando alla sveglia poco
cara che ieri ho preso in un negozio
con gabbie per uccelli e sacchetti di plastica
pieni di arance e pesciolini rossi.
Mi piaceva strizzare da bambino
questi sacchetti, schiacciando con le dita
la morbidezza di quel mondo in trappola;
ora lavo le prugne riempiendo
un sacchetto di plastica e agitandole.
“Prendine quante ne vuoi”, mi diceva
la mamma di una sposa attaccando alla siepe
del ristorante di un bed & breakfast
dei palloncini gialli e rosa. Un colpo
di vento li fece rimbalzare e scoppiare
come le uova nell’acqua bollente.


Come smettere di scrivere poesie

Più a lungo l’hai fatto,
più è facile smettere.
C’entrano molto gli ormoni,
comunque, sebbene i poeti
sembrino avere una seconda
adolescenza più spesso
degli altri. Penso al sesso
più adesso di quando avevo 15 anni.
Ovvio, non ci pensavo
tanto, allora, non volevo
andare all’inferno per pensieri impuri.
Adesso è un inferno perché
i pensieri impuri non sono più
così frequenti. Voglio dire,
c’è questa bella donna
che conosco e che quando la penso
non riesco a immaginare nuda,
e quando avevo 25 anni
non sarei stato neanche
sei secondi senza
quell’interferenza.
Ora trascorro intere giornate
senza pensare
alla poesia. È
un inizio, immagino,
ma può darsi che non possa
smettere mai di scrivere,
perfino dopo morto,
perché non c’è neanche una parola in grado
di arrestare ciò che il piacere
di mia madre e di mio padre ha fatto
partire come una poesia,
contando su di me
perché riempissi le loro parole,
nonché i loro contrari.





An answer

for Leland Hickman (1934-1991)

A week before my car
was stolen, I drove
from Ocean Park to
Cahuenga Blvd. and sat
next to your bed.
Saying yes or no to titles
of poems I read, you listened
and slept.
                  Friends laughed
when I said, “My car’s gone.”
“No offense, Bill,, but why?”
“I guess an old car’s not
protected by its dents.”
I can take a bus to work,
I thought, but how will
I visit you again before
you die. Luck nudged
two policemen. I got it back
and called, “I can come visit.”
“Not today. I don’t feel too well.”
A week after your cremation,
you still haven’t appeared
in a dream. Perhaps you told
me all you needed to, but I hoped
for a surprise. Yesterday
a parking ticket notice
puzzled me until I saw
the date: oh, that’s when
my car was stolen. Well, well,
it was only eight blocks away,
but how was I to know
it was that close?

One 2am you called me.
By chance, I was up, reading,
sitting on my mattress on
the floor. When the phone rang,
I stared at it. It rang again.
“Hello?” “Is my writing
any good at all?”  you blurted. I comforted you,
soothing your incertainties with mine.
You’ll never ask me that again.
You know the answer now
and it may not be the one
any of us expected.


The offering

A vision interrupted one
of St. Thomas of Aquinas’s
final Masses, a gratuitous offering
from the multitudinous centers
beyond earth’s winds and clouds.
Thomas said he now understood
all he had written was
so much straw. Thousands
of pages, in Latin, and
that was his idiomatic
summation. So a young
priest into whose chalice
I’d pounded wine told me.
Years away from writing
my first poem, I guessed
I would write only a little
so that when and if a vision
calmed my bewilderment,
I wouldn’t be puzzled
by the difference between my words
and the inseparable essences
of conflagrations, death and godlike tones.


After rain

A cat with butterscotch
splotches stalks the abandoned
chicken coop, streaks
past two water bottles – its mottled
image flashes in the water,
distorted, then sinks
and vanishes. Diving out
of the tall green grass,
leaping over a puddle –
it stares as a cabbage moth
flutters among sunflowers.
It glides along a fence rail,
then leaps into a tree, half-eaten
by autumn. As it sniffs a branch,
a leaf drops. It coils, returns
to the fence. The wind
drizzles through yellow leaves.


In the years to come

I don’t know anything,
the man repeated
before interrogation.
If I did, I’d talk.
I don’t have any courage.
You don’t have to
beat me. I’ll co-operate.
If you want me to accuse
someone who’s innocent,
then let’s start writing.
You’ll have more stories
than your children
could ever read,
no matter how long
they stay awake at night.


Naked chef

I love a naked chef, you say,
jabbing on earrings as I stir
oatmeal. I toss my bathrobe
over a chair beside your lunch –
sandwich, slice of cantaloope,
peach. You’re right. I’m sleek
without clothes. I don’t get
dressed when you leave, but wash
dishes, thinking of the cheap alarm
clock I bought yesterday in an aisle
with bird cages and plastic bags
bulging with orange and red fish.
As a child I loved to squeeze
those bags, fingers pinching
the world’s trapped softness;
now I wash plums by filling up
a plastic bag, wiggling them around.
“Pick as many as you want”, a bride’s
mother urged as she tied yellow and pink
balloons to bushes behind a bed
and breakfast restaurant. A breeze
made them bounce and click
like eggs in boiling water.


How to quit writing poetry

The longer you’ve done it,
the easier it is to quit.
Most of it’s hormonal
anyway, though poets
seem to have a second
adolescence more often
than most. I think about sex
now more than when I was 15.
Of course, I didn’t think
about it much then, I didn’t want
to go to hell for impure thoughts.
Now it feels like hell because
impure thought just don’t
come that easy. I mean,
there’s this beautiful woman
I know and when I think of her
I can’t imagine her naked,
though when I was 25
I wouldn’t be able to go
six seconds without
such an interruption.
I can go days now
without thinking
about poetry. That’s
a start, I suppose,
but what if I can
never stop writing,
even after I die,
because there is no single
word which can halt
what my mother’s
and father’s pleasure
started as a poem,
counting on me
to fill in the words,
and their opposites.



Bill Mohr è poeta, critico, saggista. Nato a Norfolk, Virginia (Stati Uniti) e cresciuto lì e in altre città costiere, si è poi stabilito a Los Angeles, dove ha curato due importanti antologie di poeti locali: The streets inside (1978) e Poetry loves poetry (1985) e ha diretto varie riviste letterarie. Ha pubblicato le raccolte Hidden proofs (1982) e Bittersweet Kaleidoscope (2006). Nel 2004 ha ottenuto un dottorato in Letteratura presso l’Università della California di San Diego. Attualmente insegna alla California State University e vive a Long Beach con sua moglie Linda Fry.



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