domenica 18 dicembre 2016

La breve storia della pioggia di Alain Corbin

Prima della presenza costante del meteo sullo schermo dei  nostri telefonini, prima ancora dell'esplosione dei siti dedicati, della sua entrata nella finanza (coi derivati sul tempo meteorologico) o della sua politicizzazione, qual è stato il momento in cui "il tempo che fa" è entrato prepotentemente nelle vite degli uomini, sancendo anche una virata nel modo in cui questo è percepito e raccontato? Ovviamente da sempre quel che dal cielo arriva è centrale nella vita degli uomini e continua a esserlo anche oggi, ma c'è stato un momento in cui è irrimediabilmente mutato qualcosa di basilare nel rapporto con il tempo meteorologico, anche a seguito di quella che qualcuno ha definito la "secolarizzazione del cielo" e il venir meno o l'affievolirsi del legame religioso tra uomo e cielo. Oggi davvero viviamo situazioni difficilmente spiegabili o quantomeno bizzarre: ci informiamo compulsivamente sul meteo, pretendiamo attendibilità oraria delle previsioni anche se poi magari trascorriamo il fine settimana tappati in casa. Vero che il meteo è rilevante anche se non ci si muove (per esempio lo è anche nell'asciugatura dei panni, se non si usa l'asciugatrice) e vero è che la meteoropatia registra dati in crescita, ma il rapporto con il meteo sta assumendo contorni quantomeno curiosi. E rimanendo in epoca di "cieli già secolarizzati", voglio dire che mi sembrano già lontanissimi i tempi in cui mio padre si arrabbiava se mancavo di guardare le previsioni del tempo reputate più affidabili per capire se si poteva saltare almeno un turno di irrigazione nei mesi di luglio o agosto (e non potevo salvarmi con un podcast). E, a meno che non siamo diventati tutti investitori nella finanza dei weather derivatives, non si capisce tutta questa passione e attenzione attorno al meteo. Forse dovremmo parlare anche di una sua spettacolarizzazione. Viene in mente un titolo di un libro di un poeta, Meteo di Andrea Zanzotto, che nel 1996 inaugurava la collana di poesia di Donzelli: in una parola-titolo Zanzotto aveva centrato un protagonismo che possiamo continuare a leggere a più livelli (psichico, climatico, nell'ineludibile rapporto tra ciò che alto e basso e ciò che precipita). E in che modo questa attenzione dopata sul meteo influisce nel modo in cui non affrontiamo con decisione la più grande sfida conoscitiva attorno al clima? Ma tornando alla prima domanda seminata per strada, quella dell'irruzione nella storia di un certo modo di pensare il meteo, sembra centrata la scelta dell'editore EDB di proporre il libro Breve storia della pioggia. Dalle invocazioni religiose alle previsione meteo dello storico sociale Alain Corbin (pp. 64, euro 9, traduzione di Valeria Riguzzi). Si tratta di un volume che riprende parte del più ampio La pluie, le soleil et le vent. Une histoire de la sensibilité au temps qu'il fait e che ha senza dubbio il merito di placarci per meditare qualche istante sul nostro rapporto col meteo e con i nostri meteorismi.

La ricerca storico-sociale di Corbin situa nel Settecento il momento in cui la sensibilità moderna per il meteo inizia a ingrossarsi sempre più, sino alla valanga parossistica di oggi. La sua è una digressione storica e letteraria, poiché è possibile per lo storico fissare in determinati testi e autori dei momenti inaggirabili della storia della percezione dell'acqua meteorica. Affronta il passaggio suddetto della secolarizzazione del cielo, consolidatasi con il progressivo raffinamento della meteorologia. Il saggio è troppo breve per dar conto di una storia che ha troppi rigagnoli ma allo stesso tempo è fortunatamente breve per porre un punto fermo di riflessione su un tema quotidiano. Il meteo è tema psicologico e politico per antonomasia, dallo spleen di Baudelaire si passa agilmente a espressioni che nell'uso comune sono diventate persino stucchevoli (da noi si pensi alla gramsciana "Piove, governo ladro!" e alle sue circonvoluzioni odierne). In "Pop Song 89" Michael Stipe dei R.e.m. canta "Should we talk about the weather? Should we talk about the government?". Meteo e governo, o meteo e politica se preferiamo, vanno a braccetto. Era il 1988, l'album Green e riguardiamoci pure il video, così anche le spalle mosse di Fabio Rovazzi e del suo "Andiamo a comandare" non ci sembreranno più così nuove...



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