mercoledì 7 settembre 2016

"Il pubblico" di Federico García Lorca: una commedia impossibile, una poesia da fischiare

Il sillogismo fraudolento potrebbe essere circa questo: i) i vecchi amori sono grandemente tristi; ii) Federico García Lorca è un vecchio amore di chi scrive; iii) Federico García Lorca è grandemente triste per chi scrive e costui vi parlerà circa di questo, nonché della grande tristezza di oggi nella sua esperienza di lettore di Lorca. Fortunatamente le cose però non stanno così, perché qui si parla di vecchi amori di cose lette e non di vecchi amori tra persone. Qualche ostinata/o col piglio dell'originalità e del Bastian contrario potrà poi sostenere che non è affatto vero che i vecchi amori tra persone sono grandemente tristi, ma, oltre a non credere a costei/costui su una base quasi istintuale, le/gli opporremo il fatto che parliamo appunto di amori per opere e di amori di lettori, passando oltre. Anche perché vorrei che chi legge arrivasse alla fine e non s'interrompesse qui, e non tanto per me (tanto non so mai chi legge cosa e quanto e come di questi post), bensì per questo importante libro di cui provo a scrivere. E così come parliamo di lettori, parliamo ora di pubblico (e guarda caso di amore, visto che il dramma teatrale in questione di questo parla, di amore impossibile, amore-inganno e delle sue manifestazioni creatrici). Si intitola proprio Il pubblico un lavoro teatrale incompiuto e poco frequentato del poeta della generazione del 1898, fucilato a Víznar circa ottant'anni fa, al principio della Guerra civile spagnola (lo scorso agosto qualcuno ne ha ricordato l'anniversario tondo della morte, il 19). Ed è il titolo che mi ha avvicinato a questa opera proposta da Einaudi della sua storica collana "Collezione di teatro" (a cura di Glauco Felici, pp. XIV-56, euro 8). Non si tratta di una novità libraria, perché il volume è uscito in traduzione già nel 2006, ma stando alla vita strana eppure gloriosa di questa collana, non ci faremo scrupoli di natura temporale, rinviando, se proprio vogliamo trovare un pretesto temporale per scrivere, alla morte di Lorca, una di quelle che avrebbe senso ricordare ogni anno ("Federico è qui" titola perentoriamente un omaggio che gli dedicò Andrea Zanzotto in Fantasie di avvicinamento).
  
Per chi desidera confrontarsi con lo spagnolo, in rete gira anche qualche .pdf col testo dell'originale, ad esempio qui o qui. Proprio della storia del testo dattiloscritto sarà opportuno dare qualche coordinata, ma non troppe. Il manoscritto sul quale si basa anche la prima edizione oxoniense del testo del 1976 vede la luce a Cuba nell'estate del 1930 e porta come ultima data il 22 agosto 1930. Abbiamo notizia di due letture pubbliche del testo di lì alla morte del poeta. Nel 1933 due atti uscirono sulla rivista "Los cuatro vientos" e nel 1936 Lorca ne diede lettura all'Hôtel Buenavista di Madrid, affidando un altro manoscritto pieno di correzioni a un ignoto amico. A ogni modo, la collazione tra manoscritto cubano e le pochissime varianti non consente di uscire con un'edizione stabile, perché questo dramma, che nelle intenzioni dell'autore andava distrutto in caso di un suo destino tragico, rimane un testo altamente precario. Chi si avvicina oggi al libro che da questo precario manoscritto è stato ricavato o anche alle rappresentazioni che, pur rarissime, ci sono state (come quella del 12 dicembre 1986 a Milano per la regia di Lluís Pasqual e di cui qui si può vedere qualche interessante foto di scena) può inciampare ad ogni passo, tanta è infatti l'enigmaticità e la scabrosità delle situazioni e dei temi, nonché la densità simbolica riversata qui dal poeta (tra tutti i simboli spiccano parmenidei cavalli, ora bianchi ora neri). Esempio di metateatro sperimentale - il dramma è ambientato in un teatro dove si sta mettendo in scena Romeo e Giulietta che si scopriranno non essere un uomo e una donna, bensì due uomini di età diverse-, Il pubblico si sporge verso di noi nel solco del contrasto tra verità intima e maschera pubblica, ma allo stesso tempo sconquassa, nella sua incompletezza e audacia, le caratteristiche del teatro novecentesco, ponendo dentro e fuori dal palco un'emozione introdotta con logica e metodo. Qui Lorca, che sicuramente frequentò la scrittura automatica del Surrealismo, mostrò la libertà di uscire da quegli schemi (per quanto automatica quella scrittura potrebbe dirsi fin troppo "schematica") e osò un ventaglio di soluzioni che il lettore potrà verificare pagina dopo pagina, giocando con tutti gli elementi e riferimenti in suo possesso, metateatrali, teatrali e reali, sotto la guida di una "tremenda logica poetica" di cui aveva parlato già sul finire degli anni Venti e dalla quale si sentiva guidato. L'andamento per "quadri" è anche un andamento per maschere. Un armadio su ruote pieno di maschere diverse appese appare nella prima scena dell'opera, mentre un magico paravento rivelerà le relazioni tra i personaggi. Questo per dare qualche idea degli "arredi".


Punto importante delle "comedias imposibles" assieme a La comedia sin título, questo dramma irrappresentabile e quasi coevo del "teatro della crudeltà" di Antonin Artaud va letto e visto nei suoi quadri sciamanici. Raccontarne la trama o le figure che s'alternano nei vari quadri sarebbe azione stucchevole e deprimente. Questi quadri, fra l'altro, agiscono come diversi muri di realtà, ingaggiando un peculiare gioco di doppi fondi nella scatola teatrale di un testo e della sua messa in scena. Per chi cerca dei pretesti nobili per ricordare qualcosa e qualcuno, in quest'anno shakespeariano potremmo mettere in programma anche la riconsiderazione di questo lavoro, magari assieme agli scritti di Auden su Shakespeare. Nel dramma lorchiano, il personaggio del direttore è inizialmente il portavoce di un teatro che non vuole urtare la sensibilità comune, ma passando dietro un portentoso paravento verrà smascherato nella propria intimità, assieme agli altri personaggi. E alla fine ritroveremo il direttore come sostenitore della necessità di rompere ogni barriera architettonica del teatro e del dramma, quest'ultimo finalmente inteso come "un circo di archi attraverso i quali il vento e la luna e le creature entrano ed escono senza trovare un posto dove riposare". La logica di gestione della materia per quadri consente una perlustrazione degli andamenti paralleli sulla scena, dei confini spaziali mai dati una volta per tutte e dei risultati perseguibili con una mancata sincronizzazione dei ruoli. Il tutto si combina con una potente fantasia visionaria nei cambi dei costumi e delle ambientazioni e per questo ci si augura qualche nuova proposizione della finzione scenica di questo dramma incompleto. Nel frattempo, una lettura può risultare molto stimolante, anche nella direzione dell'interrogazione su quel pubblico che presta il titolo all'opera.

Di questo lavoro incompiuto lo stesso Lorca ebbe a dire delle parole che appaiono imperdibili e che il curatore Glauco Felici non ha mancato di riportare:
È lo specchio del pubblico. Significa far sfilare sulla scena i drammi personali che ognuno degli spettatori sta pensando, mentre guarda, spesso senza concentrarsi su di essa, la rappresentazione. E poiché il dramma di ognuno a volte è molto acuto e generalmente tutt'altro che onorevole, ebbene, subito gli spettatori si alzerebbero indignati e impedirebbero di continuare la rappresentazione. Sì: il mio testo non è un'opera da rappresentare; è, come l'ho già definito, "una poesia che deve essere fischiata".

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