martedì 5 luglio 2016

Carl Dahlhaus e "L'idea di musica assoluta"

Musicali pretesti #13

Di tanto in tanto, una notizia su un libro e un brano da ascoltare, al libro collegato.


Da poco è disponibile nel catalogo della casa editrice Astrolabio il volume di Carl Dahlhaus intitolato L'idea di musica assoluta (pp. 208, euro 19, traduzione di Laura Dallapiccola), opera uscita nel 1978 in Germania. Il musicologo tedesco, per anni professore di Storia della musica a Berlino e responsabile della "Richard-Wagner-Gesamtausgabe", ha racchiuso in queste pagine una larghissima riflessione su un concetto cardine della storia della musica, vale a dire quell'idea di musica sciolta da testo, concetto, oggetto, scopo e qualsivoglia riferimento extramusicale che si è manifestata quasi come riflessione teorica sulla sinfonia e anche come contrappunto ed emancipazione dal successo della musica operistica. Torneremo sull'epoca di formazione di questo concetto che ha avuto vita travagliata, più o meno latente, così come più o meno latente continua a vivere anche oggi (la musica, forma espressiva solo per l'orecchio, si è via via aggrappata al visivo o alla lettura e anche la "musica assoluta" potrebbe assomigliare a una categoria-dinosauro se non siamo pronti a coglierne una possibile evoluzione). Ad un livello editoriale, si sta arricchendo quindi la proposta delle opere di Dahlhaus in traduzione italiana, dopo quanto gli ha dedicato EDT (un volume su Beethoven e uno sulla drammaturgia dell'opera italiana) e i due libri già proposti da Astrolabio (L'estetica della musica e Dal dramma musicale alla Literaturoper). Questo volume, già uscito in italiano a dieci anni dall'edizione tedesca in questa stessa traduzione per La Nuova Italia, volle fissare un punto di riferimento della speculazione attorno al paradigma estetico di "musica assoluta" che ha informato di sé larga parte della vicenda musicale d'Occidente. Dahlhaus ne ricostruisce dapprima storia e "peripezie", per poi addentrarsi a far percepire, mediante una prosa nutrita di rimandi storici, sociologici, scenici e soprattutto filosofici, la vitalità del concetto che lui ha inteso illuminare da dentro il Novecento, ovvero un secolo che aveva spento i riflettori sulla "musica assoluta".

Richard Wagner
"Assoluta" perché è musica sciolta da un testo o da un programma letterario, "assoluta" perché richiama anche l'art pour l'art. Il costrutto, che nasce tra la fine del Settecento e i primi dell'Ottocento, trova una sua canonizzazione e molla grazie all'uso che ne fa Wagner nel 1846, fino a diventare un'idea abbastanza diffusa dal decennio successivo. L'azione di riproporre oggi questo testo di Dahlhaus è fortemente costruttiva e sarebbe (dico "sarebbe" perché l'educazione e il dibattito musicale forse sono ai minimi storici) anche largamente stimolante. Sebbene si possa addirittura pensare di sovrapporre questo concetto con una certa fase del pensiero musicale (soprattutto tedesco), qualcosa di questo costrutto-idea di "musica assoluta" sembra resistere, di certo con connotati completamente lontani da quelli che sono emersi in epoca romantica e che poi sono stati fissati una volta per tutte dal potere definitorio di determinati compositori e teorici. Tutta quella musica che è scritta per un testo, un film, un'installazione, una sonorizzazione site-specific, e ancora per un'opera di teatro o una musica scritta per una canzone popolare o meno (larga parte della musica di oggi) non è musica assoluta, in quanto legata fortemente all'impiego che ne verrà fatto. In questo il Novecento, con la non trascurabile eccezione teorica di Stravinskij, non ha saputo rinverdire una riflessione sul concetto di musica assoluta, che pure avrebbe più di qualche motivo per riproporsi con nuove spoglie che rivestano forma e contenuto di una composizione musicale. Quindi che cos'è quella sorta di intuito che la musica assoluta acciuffa e che poi albergherà immanente nella logica stessa di una composizione musicale, senza alcun riferimento extramusicale?  Questo testo, che si destreggia anche tra concetti affini come quello di "musica pura", "musica strumentale" o quelli di "poésie absolue" (Valéry), rimane una lettura di riferimento per chiunque voglia interrogarsi sulla natura della musica, ben al di là (e anche al di qua) degli scossoni teorici che il Romanticismo ha inevitabilmente comportato su questo tragitto filosofico e storico. E poi ci sono Richard Wagner e la sua eredità sempre sullo sfondo di queste pagine e pure questo lascito, in qualche modo, va sempre "attraversato" (con o senza la luce dei notori Nietzsche contra Wagner).

La disquisizione di Dahlhaus va ben oltre questi spartani appunti che ho tracciato e abbraccia necessariamente anche il possibile essere "sciolta dall'uomo" di questa musica. E non poteva, nel suo incedere, diventare parimenti un libro di filosofia della storia e delle forme simboliche. Sappiamo che dal Romanticismo sempre più le categorie estetiche si sono sovrapposte a quelle storico-filosofiche. La realtà del pensiero fu comunque assai sfaccettata e lo stesso Romanticismo non si presenta certo ai nostri occhi come un monolite. Il pregio di quest'opera sta appunto nella capacità di distinguere i singoli contributi che via via si sono coagulati attorno a questo involucro del nostro concetto, il quale, nel lambire la poesia, non può non riprendere il lascito di Poe, Mallarmé e Baudelaire e quell'epoca in cui poesia e musica hanno provato rimpiazzare la religione con l'arte (va ricordato il concetto di musica assoluta trova in ambito letterario le più forti spinte definitorie). Un libro di riferimento, quindi, ma anche un ottimo ripasso di alcune boe fondamentali del pensiero filosofico e musicale (oltre ai già citati Wagner e Nietzsche, va ricordata la prominenza di Tieck, Hanslick, Hoffmann, Hegel, Herder, Rousseau, Busoni e soprattutto Schopenhauer, che tornerà a stracciare i suoi veli).


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