martedì 14 giugno 2016

"Piovono occhi morti": l'intervento di Marco Scarpa

Inauguro una miniserie di tre post nella quale pubblicherò gli interventi che sono stati letti in occasione di "Piovono occhi morti", la serata dedicata alla poesia della Grande guerra dello scorso 9 giugno a Ca' dei Ricchi a Treviso. Incomincio con l'intervento introduttivo di Marco Scarpa. Seguirà l'intervento di Matteo Giancotti sui poeti italiani e quello con il quale ho introdotto la lettura dai poeti stranieri.

Ospedale da campo di Visco (Udine)
La prima guerra mondiale è passata alla storia come la Grande guerra e, di fatto, l’hanno anche ribattezzata la prima guerra mondiale industriale per l’utilizzo circa le nuove armi e le nuove tecnologie annesse. Potremmo innanzitutto rilevare che è una guerra svoltasi per lo più in Europa ma dalle conseguenze mondiali e tuttora in atto. Ci furono la caduta dell’impero Austroungarico e di quello Ottomano nonché i cambiamenti epocali in Russia con l’aprirsi al comunismo dopo l’impero zarista. Ci furono importanti cambiamenti nelle politiche coloniali ma soprattutto ci furono una quantità di morti che aiutano bene a definire questa guerra come un massacro senza senso. Dieci milioni di morti a causa della guerra che porta in dote pure la Spagnola, una epidemia che alcuni fonti dicono abbia fatto cinquanta milioni di morti. Queste sono alcune cifre. Numeri che sicuramente esplicitano l’idiozia del conflitto ma che non restituiscono il complesso di umanità dentro a quegli anni. Ci ha provato la letteratura a raccontare cosa sia stato quell’insieme di eventi e il portato psicofisico che ne è derivato.  Ma non è solo per questo che la letteratura ha un peso, non è solo il suo lascito a essere importante. Fondamentale è anche ricordare come a fomentare lo scoppio del conflitto non fossero solo cause politiche e economiche ma pure la volontà di una parte degli intellettuali e letterati che vedevano nella guerra una occasione da non perdere assolutamente. Si può dire insomma che la cultura ha avuto un ruolo emblematico nello sviluppo di un clima già instabile, spingendo grazie alle avanguardie artistiche (Futurismo in primis) e grazie alle riviste a ai giornali dell’epoca, verso un senso alto della guerra, una giustizia delle stragi, connaturata a una certa bellezza della violenza.

Noi oggi vogliamo focalizzarci soprattutto sulla poesia e vorrei citare Saba che scrisse come la guerra creò due tipologie di personaggi: i poeti che fecero la guerra come soldati e i soldati che la guerra fece poeti. I primi sono soprattutto intellettuali che, chi con la foga bellica, chi con la speranza di una esperienza esaltante, chi nella stupefatta follia, si sono addentrati nel conflitto come ad esempio Marinetti, Ungaretti, Rebora, Sbarbaro e i secondi, meno noti dei primi, magari non inseriti in correnti letterarie come ad esempio Giulio Barni.

Questo per quanto riguarda gli italiani ma il panorama europeo accomunava gli animi, per lo meno all’inizio. Si andava al fronte spinti dagli stati secondo i quali si sarebbe tornati presto vincitori e la guerra non sarebbe durata a lungo. Alcuni stati, come l’Inghilterra, contribuivano a fomentare la scrittura di guerra e così abbiamo notizia di circa 2225 soldati poeti inglesi che hanno preso parte al conflitto. Ma non solo. Pure Francia e Germania hanno moltissimi esempi di scrittori soldati. Noi abbiamo voluto scegliere poesie dalla maggior parte degli stati coinvolti di cui ci fosse arrivata memoria letteraria, non parametrando la quantità di testi scelta rispetto a quelli a disposizione. E abbiamo scelto di farli leggere in lingua originale e poi in traduzione per farvi sentire il reale suono e ritmo di quei versi dandovi poi anche il significato. Ma perché la poesia?

La poesia, come vedrete, oltre al valore artistico e letterario, riesce a restituire vividamente i momenti di quegli anni, con immagini memorabili, istantanee crude, storie immerse in pochi fotogrammi. Non tenta la narrazione ma scarnifica, a volte maggiormente della prosa, quel delirio, quella follia, quel dolore, quelle ripercussioni. Oltre a ciò fornisce una moltitudine di punti di vista in quanto, come prima accennato, i modi di vedere e interpretare la guerra erano molto differenti. I poeti erano ottimi cronisti di guerra ante litteram. Hanno raccontato il fronte, le trincee, gli ospedali e spesso con precisione puntualizzando luoghi e date dei loro scritti. E grazie anche a queste attenzioni questi testi sono memoria collettiva al di là dei loro versi emblematici. Le connotazioni, alcune le sentirete, sono poi le più varie. Chi scrive di una guerra necessaria per andare oltre la stanca Europa, chi sottolinea lo spirito di aggregazione dei commilitoni o di identità personale, chi giudica quel gran bailamme come una enorme festa, chi ne estrapola la follia, le responsabilità, chi elabora i lutti personali o di un popolo, chi si focalizza sul dolore degli attimi e chi elabora il lascito emotivo/psicologico che accompagna i reduci al termine del conflitto.

Potremmo evincere di trovarci di fronte a un insieme di voci che erano spinti alla guerra da diversi fattori e stimoli ma che erano accomunati da una insoddisfazione e/o da una ribellione verso quegli anni. E molte di queste voci, una volta al fronte, hanno poi compreso con più realismo lo strazio e la demenza del conflitto denunciando il mito di una guerra da molti all’inizio celebrata e da molti stimata come nobile e giusta.
Dunque la letteratura e dunque la poesia. E la sua rilevanza. Non (solo) la sua bellezza ma pure la sua efficacia nel fornire una visione ampia di una massa di eventi e di sguardi disparati. Oggi, come ieri, fondamentali come monito e memoria.

Fonti:

Le notti chiare erano tutte un'alba. Antologia dei poeti italiani nella Prima guerra mondiale, a cura di Andrea Cortellessa (Bruno Mondadori, 1998)

La guerra d'Europa 1914-1918 raccontata dai poeti, a cura di Andrea Amerio e Maria Pace Ottieri (Nottetempo, 2014)

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