domenica 17 gennaio 2016

Giovanni Comisso fra i "Ritratti italiani" di Alberto Arbasino

Quote #9

"To repeat or copy the words of another, usually with acknowledgment of the source." Questo il verbo "to quote". Ma in italiano "quote" è il plurale di quota, parola che mi interessa soprattutto nel senso della misura di un'altezza o di un lato. Citando e contestualizzando minimamente passi importanti, cerco un modo assai svelto di dar notizia di libri significativi, possibilmente brevi. Stando breve, pure io.



Dallo scorso anno trovate Ritratti italiani di Alberto Arbasino anche in edizione economica all'interno della collana "Gli Adelphi" (pp. 554, euro 14). Per me è uno di quei libri perfetti per una vita con molte interruzioni: lo lasci in giro appoggiato da qualche parte e lo prendi per andare al gabinetto, per un interstizio spaziotemporale che si è improvvisamente creato, per un cuscinetto di silenzio creatosi durante una giornata o per una consultazione differita su un autore sul quale magari ti stai confrontando. I ritratti raccolti in questo volume, da Gianni Agnelli a Federico Zeri, sono oltre novanta. Sono perlopiù ritratti di scrittori, registi, critici, politici e musicisti e possono avere un'ampiezza variabile dalle due alla decina di pagine. Non tutto di questi ritratti mi convince: l'ampollosità di certi dettagli svia spesso l'attenzione da un midollo di prosa che talvolta non si riesce ad afferrare e nemmeno ad accarezzare. Sono pezzi, in fin dei conti, e alcuni sono semplicemente più riusciti di altri. Mi sono soffermato oggi su quello di Giovanni Comisso, un grande scrittore a mio avviso. Quando scrivo scrittore scrivo appunto scrittore. Se qualcuno per caso sa che scrivo dalla provincia di Treviso potrebbe pensare che sostenga questo per una forma di campanilismo (anche se a nessuno passerebbe per la testa di usare la categoria di campanilismo per un milanese, bolognese, fiorentino, marchigiano, romano, napoletano che elogia uno scrittore della stessa provincia o zona). Comunque, dovesse capitare, lo si pensi pure: l'affare non mi tocca. Sulla fortuna di Comisso invece non mi va di pronunciarmi troppo. Che sia entrato ne "I Meridiani" qualche anno fa vuol dire tutto e vuol dire anche niente, in fin dei conti. Ma non mi pare che a Comisso sia stata riconosciuta una grande abilità scrittoria, quella insomma che gli riconobbe da subito Goffredo Parise. Se è Javier Marías a doverci ricordare di un suo libro come Agenti segreti di Venezia 1705-1797, riproposto nel 2012 da Pgreco col titolo Agenti segreti veneziani nel Settecento, vuol dire che Comisso non sta in cima ai pensieri di molti. Ecco allora il breve passo strappato dal ritratto dell'Arbasino:

"Giovanni Comisso ormai impoverito era del tutto regale e grandioso, nel tratto generoso e cortese; e quel suo famoso e dimenticato titolo, Felicità dopo la noia, sarebbe tutto ciò di cui sentiamo il bisogno adesso, nel fondo del tedio commercial-letterario italiano, ove nessuno fa niente per niente, e se si dice «che bello» ci sono dietro calcoli. La favorita è un'Italia in terza classe bellissima e disinteressata, e spesso sublime: Chioggia e Gorizia e la Lucania, Venezia d'inverno e Cremona d'estate, i sardi e gli etruschi, domeniche ebbre a Torino (!) e una Liguria mai vista da Montale, giovani signore che tracciano il nome amato con l'ombrellino sulla sabbia, marinai che ridono coi denti bianchi e la brillantina Venus Bertelli sui riccioli neri, l'Arena di Pola come un Colosseo della via dei Serpenti...
[...]
Ora un'operosa e meritoria manifattura ricorda il grande amico che non c'è più, con una scelta delle lettere che inviava su carte di trattoria a proposito di racconti di «viaggio felice» che lo stimolavano a un confronto di generazioni erratiche. E c'è tanto De Pisis, dagli anni migliori, tra Ferrara e Treviso... Ma dopo le curiosità epistolari inedite, bisognerebbe riprendere, ripubblicare, rileggere (o leggere per la prima volta, con incanto) una prosa tra le più affascinanti e sensuali del Novecento europeo. Citando (ancora una volta!) Flaiano, per cui Comisso scrive «come su seta»."

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