lunedì 8 giugno 2015

Frank Norris, "Una speculazione sul grano"

Ripescaggi #40

Secondo e ultimo ripescaggio di uno scritto inviato a Dori Agrosì per il suo bel sito "La nota del traduttore".


Un esercizio che faccio spesso è notare o leggere un libro uscito per qualche editore straniero e immaginarmi quale casa editrice italiana abbia la “vocazione” per tradurlo. So che è un esercizio che lascia il tempo che trova, e difatti quasi mai le proposte di traduzione che invio agli editori vanno a buon fine. Più facile che sia un editore a propormi un autore che nemmeno conoscevo prima. Così è successo con Stewart O’Nan qualche anno fa, e ora anche con Frank Norris.
Quando Michele Toniolo mi parlò di Frank Norris, pensai per prima cosa che non conoscevo l’autore. Questo non è necessariamente un problema quando si traduce e credo che capiti spesso. Questo fatto era tuttavia strano, e non certo perché io abbia una buona conoscenza delle letteratura mondiale, ma più che altro perché Norris è un autore collocato in un periodo ben preciso della storia letteraria americana, un frangente che tra l’altro amo molto e che riserva sempre scoperte interessanti. 


Norris nacque nel 1870 a Chicago e morì di peritonite a San Francisco a soli 32 anni. Non mancò di girare il mondo come corrispondente in Sudafrica, nel 1895-96, e a Cuba, durante la guerra ispano-americana del 1898. Prima ancora, nel 1887, era stato a Parigi a studiare pittura. Lì conobbe il faro delle opere di Zola, una frequentazione di testi che, unita agli studi e alle esperienze di corrispondente, dà probabilmente origine al distillato di scrittura che è questo A Deal in Wheat


Il racconto è girato in cinque scene. Scrivo “girato” perché è talvolta sorprendente questa anticipazione dell’occhio cinematografico che sembra “built-in” in certa letteratura americana pre-cinema. Nella prima scena il protagonista (meglio dire la persona su cui si abbattono le macchinazioni borsistiche di cui verremo a conoscenza) lascia la fattoria per recarsi in città e apprendere che il grano ha raggiunto prezzi insostenibilmente bassi. Il prezzo troppo basso comporta il fallimento, il disfacimento della fattoria e la fine dell’attività di coltivatore di grano. Nel secondo capitolo entrano in scena i ribassisti e i rialzisti, che con i loro accordi determinano l’altalena assurda e ingiustificata dei prezzi del grano. Nel terzo assistiamo ad un grandioso affresco borsistico dell’epoca, dove le folle vocianti di allora si sovrappongono idealmente all’immagine degli operatori di borsa che oggi abbiamo noi. Nel quarto appare l’altro grande elemento portante di tutta la narrativa di Norris, la ferrovia, con il suo immenso e geografico portato simbolico,  e in questo specifico caso usata come mezzo al servizio dei giochi del ribassista. Nell’ultima quinta stazione ritroviamo Sam Lewiston, il protagonista, che dopo una poco felice parentesi nell’industria, si trova in coda a mendicare il pane, proprio nella notte in cui, per un improvviso esagerato rialzo del prezzo del grano, il pane non può più essere elargito ai mendicanti. Quella stessa sera però la ruota della fortuna torna a girare a favore del protagonista, che trova un nuovo “impiego” (stavolta nel settore dei servizi della nettezza urbana). 

Se da un lato sembra fin troppo facile seguire il percorso del protagonista attraverso i tre canonici settori di produzione (primario, secondario, terziario) e le ripercussioni dei primi eccessi del capitalismo del Ventesimo secolo, dall’altro in Norris ritroviamo una grazia tutta americana nel saper trasfigurare situazioni, persone, luoghi e, in sostanza, lo stesso plot della vicenda. L’epopea della produzione del grano e la ferrovia, i due assi portanti della sua scrittura e di una trilogia che non è riuscito a completare, sono qui magnificamente compresenti. Certe scelte linguistiche rimandano alla sua esperienza giornalistica e ad una profonda comprensione di determinati contesti finanziari e speculativi. 


Il racconto era già comparso nell’antologia Americana di Vittorini nella traduzione di Piero Gadda Conti. Rispetto a quella versione ho sentito il vero e proprio dovere di lasciare intatti i tecnicismi giuridici (secondo capitolo) e dell’opaco gergo di borsa (terzo capitolo), cercando di preservare quello sguardo trasfigurante al quale accennavo sopra, ravvisabile soprattutto nel capitolo iniziale e in quello finale di questo racconto, opera imprescindibile di un autore che, piano piano, in Italia stiamo riproponendo e riscoprendo. Oppure, più semplicemente, scoprendo.

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