domenica 3 novembre 2013

Taschen pubblica "Type. A Visual History of Typefaces and Graphic Styles". E noi siamo sempre più dentro un'epoca di caratteri?

Bene, ho scelto appositamente la foto di profilo di questo libro. Non è quel che si può definire "libro breve". Eppure lo potete davvero aprire, consultare, sfogliare e guardare (sì, come si guarda un film) come un libro breve, per qualche istante, senza paura di perdere il filo. Prendere, lasciare e riprendere. Questo può accadere in realtà con molti libri editi da Taschen, l'editore "edonista". E quelli dedicati alla tipografia, all'arte tipografica e ai "typefaces" sono davvero - almeno per me - tra i più belli e avvincenti. Non ricordo più quale visual designer britannico ha affermato di preferire di addormentarsi con un bel libro di "typefaces" davanti anziché... che ne so... con un libro di foto di belle donne. Era una provocazione (ma neanche eccessiva, da come l'aveva messa) che ben richiamava il piacere estetico che una coerente e efficace progettazione tipografica ancora riveste. E vi dirò di più: credo fermamente che la diffusione esponenziale del web ponga ancor più in primo piano l'importanza dei caratteri, della loro progettazione, disposizione e visualizzazione. Solo che l'amatorialità con cui il web è avvicinato ha impedito una riflessione seria su questi temi e che altre sono le priorità. Ma se su cinque anni di scuola si facesse una mezz'ora di educazione tipografica non credo che nessuno andrebbe in rovina, con buona pace dei fantomatici programmi ministeriali che forse espungono o ignorano questo tema. Vero anche che i diversi browser che utilizziamo mostrano un classicissimo Arial 10 con sfumature leggermente diverse (pur essendo ormai in caduta libera, stando alle statistiche, mi pare tuttora insuperata la "font rendering" di Internet Explorer se paragonata a quella di un FireFox o di un Chrome). E con i display piccoli di smartphone o tablet come la mettiamo? Credo sia bene insomma continuare a parlare di caratteri tipografici.

Nel catalogo Taschen, degli stessi autori, trovate Type. A Visual History of Typefaces & Graphic Styles. 1901–1938, oppure, come articolo "correlato", il bellissimo Bodoni. Manual of Typography – Manuale tipografico (1818) o l'altrettanto irresistibile Letter Fountain. The anatomy of Type di Joep Pohlen. In questo volume gli autori, Cees W. de Jong (designer proveniente da un paese molto attento a questi temi come i Paesi Bassi), Alston W. Purvis (professore alla Boston University) e Jan Tholenaar (altro olandese, stavolta collezionista) si concentrano su un orizzonte temporale di tre secoli che va dal 1628 al 1938. Il libro apre davanti agli occhi del lettore-voyeur di cose tipografiche un universo di design estrapolato dalla storia dell'editoria (a proposito di editoria, ci sono ancora editori che puntano molto sull'avere una propria font, pensiamo ad esempio a Voland e alla font omonima progettata da Alberto Lecaldano oppure a chi ha fatto dell'editoria un "genere letterario" come Adelphi, che pare si sia affidata ad un Baskerville leggermente rivisitato). Nel libro troverete davvero di tutto: roman, italic, bold, semi-bold, narrow e broad fonts, iniziali, decorazioni, esempi litografici, incisioni e inediti percorsi calligrafici. I nomi? A dire il vero, se siete soliti percorrere il menu a tendina dei vostri programmi è facile che qualcuno vi suoni famigliare: William Caslon, Fritz Helmuth Ehmcke, Peter Behrens, Rudolf Koch, Eric Gill, Jan van Krimpen, Paul Renner, Jan Tschichold, A. M. Cassandre, Aldo Novarese e il grande Adrian Frutiger. Il primo volume si ferma al principio del Ventesimo secolo. Il secondo ricopre il denso quarantennio fino al 1938. Non vi resta che tuffarvi e nuotare nelle lettere, in questi elementi costitutivi di una perdurante "parola dipinta".

Ah, questo blog è scritto in Georgia. Non è il massimo, ma tra le opzioni che mi forniva la piattaforma era la font "meno peggio", la stessa scelta ad esempio per l'edizione online del Corriere della Sera. Molto meglio del Times New Roman (che non riesco più a guardare) o del Comic Sans (che per fortuna non c'è come opzione e che lascio volentieri ai bollettini di parrocchia o ai boy scouts, laddove ha attecchito con indici di penetrazione misteriosamente alti).

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