martedì 10 settembre 2013

Un'incursione nella preistoria acustica della poesia con Brunella Antomarini

Librobreve intervista #23


Dopo tanti libri di poesia, parliamo di poesia da un nuovo versante, che si staglia sull'orizzonte delle possibili discussioni sulla poesia. Parto dal recente saggio di Brunella Antomarini intitolato La preistoria acustica della poesia (Nino Aragno Editore, pp. 105, euro 10). Non è passato molto tempo da quando dicevo ad un amico che trovo molto più interessante la riflessione teorica attorno al romanzo, se paragonata a quella concentrata sulla poesia. Prontamente il libro di cui parliamo oggi mi ha smentito. L'autrice insegna Fenomenologia ed estetica alla John Cabot University di Roma. Che cosa ha scritto prima di pubblicare questo saggio così appassionante? The Maiden Machine. Philosophy in the Age of the Unborn Woman (Edgewise, New York 2013); Thinking Through Error. The Moving Target of Knowledge (Lexington Books Lanham 2012; Italian edition: Pensare con l'errore, Codice Edizioni, Torino 2007); L'errore del maestro. Una lettura laica dei Vangeli (Derive&Approdi, Rome 2006); La percezione della forma. Trascendenza e finitezza in Hans Urs von Balthasar (Aesthetica Edizioni, Palermo 2004). Con A. Berg ha curato Aesthetics in Present Future. The Arts in the Technoogical Horizon (Lexington Books, Lanham 2013) e, diversi anni fa, è stata autrice anche di un libro per bambini, Denizens of the Forest (Poligrapha Ediciones, Barcelona 1992). Un percorso avvincente, che ad un certo punto incontra la pubblicazione di un saggio interamente dedicato alla poesia con l'editore Nino Aragno. Scopriamo come nelle sue risposte.

LB: Mi permetto di partire banalmente dal titolo del suo libro uscito per Nino Aragno Editore qualche tempo fa: La preistoria acustica della poesia. Estrapolo intanto due parole: "preistoria" e "acustica". Siamo oggi nella storia? Che cos'era la preistoria della poesia? E possiamo leggere l'aggettivo "acustica"  in contrapposizione con la "deriva tipografica" della poesia? (Penso anche al colpo di dadi di Mallarmé...) 
RISPOSTA: Siamo nella storia nel senso che possiamo guardare indietro e tracciare le strade (o qualche strada) che abbiamo percorso per essere arrivati dove siamo arrivati. Voglio dire, come tento di fare con il saggio, che ci dev'essere una genesi (certo complessa) della 'naturalezza' di scrivere in versi, di andare a capo, cioè di visualizzare un ritmo, una metrica, una musicalità che non appartengono al visivo, ma all'acustico. E fuori di dubbio la poesia c'era prima della scrittura e c'era con funzioni rituali e didattiche che spiegano con chiarezza (come hanno fatto i teorici delle tradizioni orali) l'uso della musicalità e quindi della cognizione corporea (non concettuale). Quindi ho lavorato sulla metamorfosi della poesia dall'oralità alla scrittura, dall'arcaico allo storico. Pur immersi nella storia (o magari stando ormai all'uscita), custodiamo gli strati precedenti, ce li portiamo dietro in queste tracce di cui la poesia è un esempio. Restiamo arcaici, o in debito verso quell'identità arcaica che ci accompagna ma che non possiamo del tutto capire o recuperare. Non parlerei perciò di contrapposizione tra oralità e scrittura, cognizione corporea e cognizione concettuale, ma piuttosto di derivazione, evoluzione. Mi piace l''espressione 'deriva tipografica', se significa che questa evoluzione è piena di deviazioni e orientamenti imprevedibili e non progressivi, ma non vuol dire critica alla scrittura, naturalmente.

LB: Ora, per non fuggire dal titolo, passo alla "poesia" (in fondo i titoli, quando indovinati, sono flash che illuminano improvvisamente tutta l'opera e che dalle parti dell'opera sono a loro volta illuminati, secondo Andrea Zanzotto). Lei si è normalmente occupata di filosofia. Come avviene questo incrocio con la poesia? Non che sia una situazione rara, anzi. Ma intendo da un punto di vista quasi professionale, come si passa da certe tematiche prettamente filosofiche al soffermarsi sulla poesia?
RISPOSTA: La transizione avviene come interesse per il coinvolgimento della percezione, del corpo, della globalità corporea nella conoscenza. La poesia è stato un esempio, come lo è stato il mio lavoro sui Vangeli (che erano orali e non scritti). Ho fatto questo lavoro antropologico che è servito come base fattuale e concreta al mio lavoro epistemologico sulla conoscenza ordinaria, cioè come conosciamo in assenza di certezze, teorie, concetti fissati dalle scienze, eccetera.


LB: In quali punti le tematiche affrontate nel suo libro si intersecano con quelle ampie della traduzione e con quelle ancora più intime del ritmo?
RISPOSTA: Il ritmo sembra sostenere la poesia nella sua definizione minima. Lo stesso atto di andare a capo è una determinazione di ritmo. Qualunque corrente, orientamento, o poetica difendano oggi i poeti, si definiscono dal quell'atto. L'analisi della traduzione come 'intrinseca' alla poesia segue dal fatto del ritmo. Dal momento che cogliamo un senso nel ritmo, pensiamo che quel ritmo-senso possa essere traslato, appunto tradotto, in un'altra lingua. Un po' ci sbagliamo, perché in ogni traduzione si perde qualcosa - o molto - della lingua originale. Eppure è proprio nella traduzione che viene attuata - quando la poesia è grande, diceva Marina Cvetaeva - quella vocazione a dire e non dire, definire e lasciare indefinito, che è propria di tutta la poesia. Il passaggio da una lingua all'altra insomma è rivelativo di come si muove, si costruisce e si trasforma un testo poetico.


LB: Ci racconta brevemente, per quanto possibile, di Marcel Jousse?
RISPOSTA: Un antropologo gesuita, che ha lavorato dagli anni Venti e ha viaggiato in Palestina e tra i nativi americani per capire come fa il corpo a conoscere, anzi come si realizza una conoscenza del mondo nella trasmissione orale di formule da un corpo all'altro. Conoscenza fragile e collettiva, senza autore e sempre in fieri. Un po' come avviene paradossalmente nella nostra cultura digitale. Comincia a essere studiato ora in Italia, da esperti come ad esempio Antonello Colimberti.


LB: Poesia e errore era un titolo di Franco Fortini, un cappello con il quale radunare molti versi giovanili. Un titolo "mobile", che fu soggetto a variazioni e slittamenti. Lei si è occupata in profondità dell'errore in un suo studio uscito per Codice Edizioni (Pensare con l'errore, Codice edizioni, 2008, qui un estratto con le prime pagine). Per quale porta "rientra" l'errore in questo suo recente libro dedicato alla poesia?
RISPOSTA: In realtà questo libro è stato scritto prima di quello sull'errore. È che ci è voluto tempo e non era facile trovare un editore colto e libero come Nino Aragno. Il passaggio avviene appunto dallo studio di esempi di conoscenza corporea allo studio della mente-corpo nell'uso che fa degli errori. Il corpo non ha bisogno di verificare le proprie credenze ed è tenace nell'attaccarsi a quelle che ha, anche se sono sbagliate. Sappiamo benissimo perciò (senza ammetterlo) che quando pensiamo di essere certi, lo siamo in virtù di una finzione. Per fortuna, ci sbagliamo sempre.


LB: Lo sviluppo della rete ha portato un nuovo fiorire di studi e ricerche sull'oralità, la corporeità, la voce. Di questo si trova traccia anche nel suo testo. Qual è la sua posizione scientifica in merito a questa "nuova ondata" ad un livello più generale e, poi, nello specifico, nei confronti della poesia?
RISPOSTA: Sto lavorando ora infatti a come il corpo cambia nel suo contatto e interprenetrazione con le nuove tecnologie. Abbiamo un corpo tecnologico e abbiamo tecnologie quasi-organiche. Che tipo di poesia produrranno questi ibridi non lo so. Sto a vedere.


LB: Quali libri di poesia consiglia Brunella Antomarini?
RISPOSTA: Quelli che commuovono e quelli che giocano con la scrittura senza l'arroganza dell'illeggibile.

2 commenti:

  1. Sarebbe stato interessante qualche nome o titolo nell'ultima risposta. Intervista cmq interessante assai. giorgio

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  2. Da questa breve intervista direi che il libro è molto interessante e coinvolgente; il discorso sulla poesia che nasce "prima" della scrittura è affascinante.

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