sabato 29 giugno 2013

da "L'obbedienza" di Nicoletta Bidoia

Una poesia da #22


Nicoletta Bidoia si diverte in una maniera autentica a costruire teatrini in carta e collage. Potete andare su Youtube per vedere come il divertimento si trasformi in questo suo gesto creativo, quasi misterioso e ampio, in punta di piedi. Negli ultimi tempi mi ha detto più di una volta di aver tralasciato la poesia, verso la quale era continuamente insoddisfatta e, quasi a compensazione, sottolineava sempre di aver abbracciato quest'altra attività legata ai teatrini e ai collage. (Mi tornava in mente Montale che dipingeva coi resti del caffè.) A leggere le ultime poesie che ha scritto, dopo molto tempo, ho pensato che non abbia affatto smesso di scrivere, pensare e occuparsi anche di poesia. Forse ha soltanto tralasciato l'altro gesto, quello di riversare la poesia su carta, o su altri schermi, come  ad esempio quello che avete davanti. Non pubblico però questi inediti, ma ripesco dal suo libro più bello intitolato L'obbedienza uscito per Lietocolle nel 2008 (pp. 94, euro 13, con una nota di Isabella Panfido). Quel libro seguiva altri due, usciti sempre per lo stesso editore, intitolati Alla fontana che dà albe (2002) e Verso il tuo nome (2005, prefato da Alda Merini). Data la brevità dei testi scelti e di buona parte dei testi di questo libro, ho deciso di pubblicarne più d'uno. Anche perché non posso non pescare dalla sezione d'apertura intitolata La mappa che vale da sola la ricerca di questo "libriccino". Il distico caproniano "bruciata ogni ormai inattendibile / mappa, nessuna via regia" sta in posizione d'epigrafe di questo segmento del volume che prende lo spunto dalla notizia di una pattuglia di alpini svizzeri sorpresi da una bufera di neve sulle Alpi, dati per dispersi e poi tornati al campo grazie ad una mappa che si rivelò essere... (lo scoprite tra qualche riga). Dall'altro lato non posso fare a meno di riscoprire alcuni testi molto brevi che possiedono però un'escursione termica elevata. Rilevare questa escursione termica a distanza di cinque anni dalla prima lettura di questo libro è qualcosa di insolito, come certi mutamenti che si avvertono sulla superficie del proprio corpo, non in tutte le età della vita a dire il vero. In mezzo, in mezzo a questi cinque anni dalla prima lettura alla rilettura (e in genere dalle prime letture alle riletture) che cosa c'è? Cosa passa? Cosa cambia?

(Per concludere, ricordo anche questo link della trasmissione "Fahrenheit" di Radio3.)













ah! sans que rien ne me soutienne ni me guide
que la puissance de l’erreur
Philippe Jaccottet*


Il nostro andare è uguale
a chi non sa vedere, a chi
ogni giorno si separa e chiama
e di domande sfinisce l’eco
e aspetta.

               Ma so di alpini
che, perduti in guerra,
ritorno fecero con una mappa
e i nodi sciolsero su quella carta
che solo dopo si scoprì sbagliata.

Non di Alpi lei parlava
ma di Pirenei.

-

Smarrirsi venne prima, 

già nelle pianure della nebbia. 
Queste sono zone dove si crede soprattutto 
alla verità dei corpi, al loro segnale fermo 
tra le idee. Le voci, quando c’è bruma, 
restano cenni di esistenza, 
promesse di vicinanza tutte da provare. 
Si va piano, specialmente la notte 
e ogni passo che si salva 
rassicura il passo dopo. 
Per timide prove si procede 
in cerca di una qualche trasparenza, 
di uno slargo, di aria
che non offuschi l’aria.

-

La risposta è dire freddo
se si trema e chiara
se c'è luce: accordare
la realtà con le parole,
saperlo ancora fare.

E dopo, ma solo dopo
aver tradotto bene il cuore,
morire di neve
o viverne il bagliore.

*: “ah! senza che nulla mi sostenga né mi guidi / tranne la potenza dell’errore”
Philippe Jaccottet

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