sabato 23 febbraio 2013

Un ricordo per Giovanna De Angelis e del suo "Le donne e la Shoah"

Non ho mai utilizzato questo spazio per cose simili. Questo non è un necrologio (non li saprei scrivere) ed è già passato più di un mese dalla morte di Giovanna De Angelis, avvenuta lo scorso 14 gennaio. Ma l'ho saputo da poche ore, e non so bene perché ho sentito bisogno di scrivere queste righe, faccio fatica a capire cosa succede nella testa quando apprendi che una persona che credi viva invece non c'è più (forse è solo una presunzione quella di pensare alcune persone vive, se non si hanno contatti e collegamenti costanti, se non si è tra quelli che vengono avvisati in caso di morte e poi è bene che non capiamo cosa avviene nella testa in quei momenti in cui apprendiamo della loro morte...). Trovo strano pure questo "nuovo" modo di apprendere della morte di persone incrociate per lavoro o comuni interessi ai tempi della rete. Strano questo mondo di contatti fissi, interconnessione imbrigliante 24/7 e tuttavia rarefazioni potenti (incluse le amicizie) e improvvise. Strano scriversi, collaborare, lavorare assieme per qualche mese in vista di un libro da fare, magari chiudendo le mail con "speriamo di incontrarci prima o poi". A volte quest'incontrarsi capita veramente, a volte non succede e i contatti si rarefanno, a volte succede per sbaglio per i motivi più strani, a volte non succede perché la vita si interrompe. Non ho mai stretto la mano a Giovanna De Angelis, mi è solo capitato di collaborare con lei quando era alla narrativa straniera di Fazi e di sentirla spesso per email (così come le sarà accaduto con tantissimi altri dei suoi collaboratori temporanei), un paio di volte credo al telefono o con altri mezzi similtelefonici, l'ultima volta lo scorso settembre, per email, quand'era passata a Fanucci. Le scrivevo per alcune idee di traduzione attorno a Dos Passos. Per uno scambio di opinioni sulla narrativa americana era diventata un punto di riferimento per me. Ci scambiavamo talvolta idee su libri che si sarebbero potuti tradurre o altre idee su libri che necessitavano di una nuova traduzione (ricordo le sue posizioni ferme sulle traduzioni di narrativa americana dell'epoca Vittorini-Pavese). A settembre mi aveva risposto che non stava bene. Ma chiudeva la mail con una frase di cui mi ero fidato: "Ma guarirò, e faremo cose belle, ne sono certa". Ora quella risposta non può che assumere un colore nuovo. Il suo stile di lavoro in ambito editoriale, per quel poco che un esterno può percepire, mi pareva fortunatamente antecedente al grande sconquasso che è arrivato coi vampiri e con la crisi (o forse già da prima). Non comune la sua cortesia e non comune la costanza di dialogo e risposta, anche al più lontano Pinco Pallino dei collaboratori, come poteva essere chi la ricorda ora, da qui.

Giovanna De Angelis, in qualità di editor, aveva contribuito alla traduzione di tantissimi autori e titoli, concentrandosi moltissimo sulla narrativa americana. Era pure autrice di più di un libro. Con Stefano Giovanardi aveva scritto la Storia della narrativa italiana del Novecento (Feltrinelli, 2004) e, da sola, il volume più contenuto e dal profondo e silenzioso respiro intitolato Le donne e la Shoah (Avagliano, 2007). Questo libro, che nasceva dalla sua tesi di dottorato, risentiva naturalmente del filone dei gender studies. Tuttavia, allo stesso tempo, ha la grazia di quegli studi che fortunatamente restano fuori dalla camicia di forza teorica che spesso si fa indossare nel mondo universitario, dove tutto deve rientrare e ricadere sullo stesso campo, a discapito del coraggio metodologico, dell'innovazione nell'approccio e, in ultima analisi, della qualità dei risultati o fecondità euristica che dir si voglia. Questo libro pubblicato da Avagliano rimetteva in circolo la centralità delle donne nella tragedia della Shoah, proprio come in molti casi ha fatto la migliore arte cinematografica. Se il nord della ricerca di Giovanna De Angelis rimane Edith Bruck, gli altri importanti punti cardinali che orientavano il piano dello studio rispondono ai nomi di Hannah Arendt, Gertrud Kolmar (nel 2008 l'editore Via del Vento pubblicò Metamorfosi e altre liriche), Etty Hillesum (di cui Adelphi, da poco, ha pubblicato i Diari in versione integrale), Liliana Segre e Giuliana Tedeschi.

Riporto una risposta che Giovanna De Angelis diede in un'intervista dedicata a questo libro. Anche oggi possiamo dire che la Giornata della Memoria è appena trascorsa (tra l'altro è arrivata pochi giorni dopo la morte di Giovanna).

INTERVISTATORE: E' appena trascorso il 27 gennaio, Giorno della Memoria. Oggi qual è l'approccio della gente di fronte alla Shoah? Quanto è sentito il dovere della memoria?
GIOVANNA DE ANGELIS: «Penso ci sia una grandissima ignoranza per quanto riguarda i giovani. Ovviamente non per colpa loro, ma forse delle famiglie. La scuola è l'unica che costringe i ragazzi a leggere Se questo è un uomo di Primo Levi. Moltissimi giovani non sanno cosa sia la Shoah e sono dubbiosi anche sul periodo in cui collocarla. Per quanto riguarda le persone più grandi, la reazione più diffusa di fronte alla Shoah e alla giornata della memoria è la noia. Questo è un problema con il quale si confronta continuamente, attraverso riflessioni intelligenti, lo stesso mondo ebraico. La soluzione non è eliminare la Giornata della Memoria o le visite ad Auschwitz, ma trovare un modo per non analizzare e non rendere il tutto molto stereotipato. La vita è bella, uno dei film più falsificanti e irrispettosi che siano mai stati girati, ha vinto l'Oscar e viene celebrato come un'opera di genio divertente e profonda che ha dato accesso, allo spettatore comune, a temi importanti come la Shoah. Non c'è nulla di più sbagliato: la visione che veicola quel film è assolutamente fuorviante. Di fronte a un pubblico che della Shoah non sa quasi nulla, un film del genere presta il fianco a molti fraintendimenti. Trovo che sia giusto che ci sia il Giorno della Memoria e mi fa anche impressione che esista da così poco tempo. Ma bisogna continuare ad escogitare dei sistemi affinché la banalizzazione non divori quello che è stato sicuramente l'evento più tragico della storia dell'umanità».

La risposta mostrava in nuce il suo anticonformismo, quello che definirei il suo spirito (intuibile persino da alcune risposte alle mail), che immagino difficilmente conciliabile con taluni tic fastidiosi dell'editoria attuale (per il testo completo dell'intervista potete cliccare qui). Per quel che mi riguarda e tocca così tristemente, volevo ricordare Giovanna De Angelis, attraverso il suo lavoro e un suo libro in particolare. Pur non avendole mai stretto la mano, qualcosa ho imparato anche da lei: un apprendimento a distanza, per il quale la ringrazio. Lo stesso, anche adesso. Anzi, con maggior forza ora.

(Rinvio anche a questa pagina, per il più significativo ricordo dell'editore Sergio Fanucci.)

Nessun commento:

Posta un commento