sabato 10 novembre 2012

Andrea Zanzotto e Dino Campana

Poco più di un anno fa, il 18 ottobre, si spegneva Andrea Zanzotto. Molte oggi le iniziative per ricordarlo, non ultima la riproposta di Filò per la collana di poesia di Einaudi (curioso, editorialmente parlando, questo primo approdo einaudiano post mortem, anche se sappiamo che in fondo il gruppo editoriale è legato a Mondadori). Anche chi scrive vorrebbe ricordare Zanzotto a partire da un breve, minuscolo libro, uscito proprio nell'anno della morte del poeta. Si intitola Il mio Campana ed è stato curato da Francesco Carbognin (Clueb, pp. 42, euro 9), autore anche di un importante saggio intitolato L' altro spazio. Scienza, paesaggio, corpo nella poesia di Andrea Zanzotto uscito da Poiesis nel 2007. Nel suo essere piccolo e breve questo libro attraversa un fascicolo fondamentale di percorsi poetici e universi fonici che rimandono al nodo irrisolto tra poesia e follia. Certo, come ricorda Zanzotto, "follia" è parola male-minore a cui ricorrere, in assenza di una parola più adatta.

Nel maggio del 2002 Zanzotto ricevette a Bologna il premio di poesia "Dino Campana". Il premio fu un'iniziativa molto importante, che purtroppo ha poi chiuso i battenti. Il discorso pronunciato da Zanzotto in occasione della premiazione è però uno dei lasciti preziosi di quest'esperienza del premio intitolato al grande "incatalogabile" di Marradi. Come viene giustamente ravvisato, è anche uno dei pochi discorsi e momenti in cui Zanzotto affronta apertamente la figura e soprattutto l'opera di Dino Campana. Campana è prima di tutto difficilmente catalogabile, Zanzotto inizia con questo punto fermo il suo discorso, quasi meravigliandosi poi che Campana sia rimasto escluso dalle sue Fantasie di avvicinamento, anche se - lo sappiamo - certe esclusioni talvolta sono più pregne di significato delle inclusioni. I nomi di Hölderlin e di Rimbaud (e il transito costante dalle parti di Recanati), nomi spesi non a caso da Zanzotto e per Zanzotto, conducono qui alla poesia di un grande "non-catalogato" del Novecento poetico italiano. Anche se Zanzotto non aveva quasi mai affrontato direttamente Campana prima di quest'occasione del 2002, l'incontro con i Canti orfici fu precocissimo nella sua gioventù. Inevitabile il ritorno, attraverso Campana, all'incontro con la poesia di Hölderlin, di cui ricorda quei versi dai quali si potrebbe ripartire ogni volta per leggere e rileggere l'intera opera zanzottiana: "Da ich ein Knabe war, / Rettet' ein Gott mich oft / Vom Geschrei und der Rute der Menschen [...]" (circa: "Quand'ero un fanciullo / spesso un Dio mi salvò /dal chiasso e dalla sferza degli uomini [...]"). Le precoci solitudini boschive e collinari di Zanzotto sono "sovrimpressioni" delle solitudini di Campana, poeta che Zanzotto sostiene di aver letto e "capito" tutto, sin dal principio, e del quale una certa tramatura versuale è sicuramente migrata ed è stata raccolta dal suo scrivere. Si presti attenzione: non è presunzione quel "capire tutto" in un poeta come Zanzotto. In Zanzotto quel capire tutto diventa un atto radicale di accoglimento della parola poetica altrui, proprio nel momento in cui, paradossalmente, diventa ammissione dell'impossibilità di avvicinare del tutto un poeta (ecco perché Fantasie di avvicinamento resta un titolo insuperabile). Ricordare Dino Campana e il proprio incontro con quella poesia diventa allora, inevitabilmente, motivo per ripercorrere i cardini di Hölderlin e Rimbaud (il Bateau ivre tradotto precocemente, il lavoro di "importazione" rimbaudiana di Diego Valeri a Padova, le carte di Hölderlin studiate anche grazie all'amicizia con Reitani) e ulteriore stimolo per ritornare su quell'universo fonico della sua fanciullezza, laddove si rincorrono il fantasioso latino popolare mediato dalla chiesa e quello maccheronico, il tedesco di certi parenti emigrati in Austria con il tedesco di Hölderlin, il francese di Rimbaud e quello della migrazione, le strofe del Tasso giunte per un'impervia via "popolare" nella recita di una zia e, naturalmente, il dialetto. 

Zanzotto, nel suo discorso, rimane fedele all'idea di un Campana non catalogabile, così come dovrebbe essere tutta la poesia. In effetti questo è stato anche il destino critico del poeta dei Canti orfici.  Egli ricorda inoltre che "quanto finora è stato scritto sull’opera di Campana è, complessivamente, di alto livello; eppure, vi restano alcuni interstizi inesplorati vere e proprie zone interdette alla ratio." Poi si lancia in una di quelle sue "fantasie di avvicinamento" che a mio avviso ne fanno uno dei più grandi profili critici del Novecento e che trasformano questo piccolo libro in un pezzo importante del suo lascito. So che lui nicchierebbe, ma per darvi un assaggio di questa grandezza critica riporto per intero questo passo:

"Una poesia come quella di Campana, infatti, si configura come un flusso ininterrotto di armonie e di disarmonie di serie melodiche e semantiche che si sovrappongono e si intrecciano: proprio per questa ragione, la poesia di Campana risulta terribilmente difficile da cogliere in questo ipnotico sovrapporsi di strati armonici, nel tentativo, magari, di rifondarvi l’intera gamma delle associazioni foniche - attraverso gli strumenti offerti dalle più recenti acquisizioni delle Scienze Umane - sulla base dei condizionamenti cerebrali, e via dicendo. Ma interessa davvero tutto questo? Il riuscire a fornire ipotesi attendibili circa i processi neurobiologici soggiacenti alla produzione di privilegiati reticoli fonici e semantici, determinati dall’iterazione di elementi timbrici e lessicali e dal loro disseminarsi nel testo? Certo, non c’è una sola virgola, in un testo poetico, che non mi interessi. Ma credo anche che per quanto il “mentore” che ci avvicina a una personalità come Campana sia diligente, il polverio delle discontinuità mentali di Campana giunga, in qualche oscuro modo, a fondersi al latteo suono, direi, dei suoi versi, a queste maree di armonie logiche e di armonie foniche che si inseguono incessantemente, si intersecano, si fondono e si differenziano per ricongiungersi ulteriormente, nelle sue poesie."

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