venerdì 14 settembre 2012

Virginia Woolf e Walter Sickert. "Una conversazione" da Damocle Edizioni

Quando trascorrono settant'anni dalla morte di un autore solitamente i diritti decadono e pressoché ogni editore può decidere di pubblicare e tradurre una data opera. Così è successo recentemente per Francis Scott Fitzgerald e anche per Virginia Woolf. Nel primo caso l'evento è coinciso con un processo di ritraduzione dei suoi principali successi, in parte auspicabile (così come sarebbe auspicabile una ritraduzione di tanta narrativa americana tradotta in italiano nel dopoguerra). Per Virginia Woolf invece ci attendiamo qualche incursione coraggiosa, come questa Conversazione pubblicata dell'editore veneziano Damocle (pp. 88, euro 12, introdotto e tradotto da Vittoria Scicchitano), che rappresenta la prima apparizione in italiano (con testo originale non a fronte, bensì in coda) di un importante saggio dedicato alla pittura di Walter Sickert.

Il saggio della Woolf si inserisce nell'ormai mirabile solco che vede quest'editore veneziano degno di larga attenzione, e non soltanto per i preziosi libri d'artista che ha via via seminato lungo la sua via. Mi si lasci citare soltanto alcuni autori in catalogo, a testimonianza di una linea editoriale veramente indipendente dalle chiacchiere: Elisa Biagini, Ernesto Calzavara, Luciano Checchinel, Dragan Dragojlović, Eva Taylor. Lo scritto, la Conversazione, è una delle tante situazioni in cui la penna di uno scrittore (e quale scrittrice, in questo caso!) rileva le principali linee di forza di un'opera di un pittore. Mi pare raramente accada il contrario, e forse bisognerebbe indagare su quest'aspetto, su questa illuminazione non sempre biunivoca tra chi prevalentemente scrive e chi prevalentemente scrive con il colore o altri materiali. Rappresenta inoltre uno scritto che fa davvero luce sulla controversa e mai sciolta treccia tra arte e vita, una spirale che ora vede prevalere l'una ora l'altra corrente sinusoidale, in un gioco di incroci, sovrapposizioni e attorcigliamenti mai inquadrabile per intero. Contributi anche brevissimi come questo della Woolf riescono per un istante a fermare questa treccia, a spaccare in quattro il capello di cui è fatta, inoltrandosi in quell'autostrada a più corsie: le corsie della letteratura e quelle delle arti visive. Forse, in questi casi, faremmo sempre bene a tornare a un grande studioso della letteratura inglese e delle arti visive, a un grande studioso tout court. Penso naturalmente a quel Mario Praz di cui, neanche a farlo appositamente, recentemente è stato riproposto Mnemosine. Parallelo tra la letteratura e le arti visive.

Così Sickert, che ha madre anglo-irlandese e padre tedesco-danese (nasce in Baviera, a Monaco, nel 1860) diventa quasi un pittore pre-benjaminiano, e ci lascia scovare avvolti nel silenzio, anche attraverso le parole della Woolf, quegli stessi materiali che poi Benjamin introdurrà nei suoi Passages di Parigi molti anni dopo. Il secolo a cui guardano è lo stesso, prima di entrambi c'era stato Baudelaire. Dopo di loro, un altro pittore che è morto soltanto un anno fa, Lucian Freud, che di Sickert sembra aver ereditato qualcosa... la treccia continua, si complica, se volessimo introdurre un altro irlandese come Francis Bacon.

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