sabato 18 marzo 2017

"Lo spregio" di Alessandro Zaccuri

Se è vero che il testo di un romanzo mette in scena una scissione tra sé e mondo – scissione che prova spesso, talvolta ingenuamente al giorno d’oggi, a ricomporre sulla pagina – è anche vero che tale scissione può prendere diverse strade e declinarsi in molteplici aspetti, che possono manifestarsi come corollari di questo movente originario. E così, come sempre ravvisiamo la già ricordata primaria scissione, possiamo trovarne molte altre, ad esempio quella antica tra ragione e sentimento, tra interesse pubblico e privato, tra libertà e nuove schiavitù, tra vittima e carnefice oppure tra genitori e figli, con tutto il portato che un discorso generazionale ben intavolato sempre trascina con sé. Fino a qui siamo nell’ambito del noto e di quanto già la tragedia greca aveva messo sulla scena. Poi, con ogni nuova storia, interviene il nuovo. L’ultimo romanzo di Alessandro Zaccuri intitolato Lo spregio (Marsilio, pp. 120, euro 16), nella sua indovinata brevità, riesce a disporre capitolo dopo capitolo tanti motivi di interesse. Più che concentrarmi sulla storia e sottrarre ai lettori la possibilità di venirne a capo, proverò a dire i motivi per cui questo libro è riuscito a impaginare l’intersecarsi di più linee (e rapporti) di forza che scorrono tra i personaggi, i tempi e i luoghi. Le scissioni citate poche righe sopra non sono casuali, perché trovano tutte spazio nel libro di Zaccuri. Tutto il resto va davvero lasciato alla volontà di leggere e scoprire, volontà che – si dovrà riconoscerlo senza piagnistei prima o poi – rischia di smarrirsi nelle derive mondane dell’oggetto libro, che può benissimo diventare definitivamente accessorio di moda tra gli altri.

Il punto di partenza della narrazione è fissato nel 1993. Non vi è un vero protagonista in questo libro, c’è un raro equilibrio tra personaggi comunque protagonisti. Uno dei protagonisti, il tredicenne Angelo figlio di un gestore di una trattoria posta al confine italo-svizzero, scopre da un compagno di scuola che le attività collaterali che ruotano attorno al padre e alla trattoria non sono tutte lecite e lineari. Trattasi di contrabbando da zone montane di confine e di affitto di qualche stanza a ore per la prostituzione. Tra l’altro il padre, Franco detto il Moro, non è il padre. Ecco un punto di rottura dell’equilibrio, una scissione. Ma i due si sono sempre parlati "da uomo a uomo" e così sempre faranno e Angelo inizia presto un proprio percorso, emulativo di quello del padre. L'epigrafe scelta da Zaccuri, da Kafka, vale per i diversi punti di rottura di questo breve romanzo e dice "dopo di che non ci fu lotta, ma solo punizione". Di qui, mediante un iniziale ricorso all’unità di spazio (la trattoria e le zone circostanti), il testo di Zaccuri si sposta attraverso i decenni e le trasformazioni dei luoghi e delle persone, prestando attenzione alle mode, agli accessori, alle marche (per altri versi grandi assenti della narrativa italiana). La voce del narratore è tentata da quel meccanismo di regressione che tanta fortuna ha avuto. In sostanza il narratore pensa e a volte parla come i personaggi: ad esempio, a pag. 35, leggiamo “Gli avevano trovato un soffio al cuore, va’ a capire se è vero”, oppure, sempre alla stessa pagina, “Era suo figlio, facesse quel che voleva”. Un ulteriore punto di scissione è l’arrivo nella zona di una famiglia meridionale che riorganizza gli assetti di potere. Tra la famiglia del Moro e questa famiglia scatta un’alleanza, sancita dall’amicizia tra Angelo e uno dei figli di Don Ciccio. A questo punto il libro abbandona la propria fedeltà al luogo e segue i due giovani nelle scorribande della loro amicizia, fino a una “impresa” rappresentata da un furto di una statua da parte di Salvo e al successivo spregio dettato da invidia compiuto da Angelo. Questo è un libro dove fanno capolino due statue ben diverse ma comunque centrali (di qui la copertina). Il passo s’avvia rapidamente verso l’epilogo tragico e con forza emerge la scena del colloquio tra il Moro e Don Ciccio, nella casa di quest'ultimo. Appaiono centrate bene in questa investigazione di Zaccuri sia la riflessione sui rapporti tra padri e figli lungo i decenni sia la riflessione sul potere, su come tutto possa esplodere come una polveriera al minimo cambiamento e all’incontro tra due concezioni del potere che si trovano a insistere in pochi chilometri quadri. L’epilogo ci mostra il Moro che va a sistemare un conto corrente bancario con la moglie Giustina, qualche settimana dopo la tragedia. Muore dentro la propria auto, mentre si appresta a metterla in moto, nel frangente in cui la moglie rientra in banca a recuperare il foulard lasciato sulla sedia. Sono a Paradiso, nel Canton Ticino. A chi leggerà questo libro resta anche la possibilità di decidere se ogni riferimento alla polisemia dei toponimi sia in questo caso puramente casuale.

Nessun commento:

Posta un commento