mercoledì 22 marzo 2017

Il terremoto di Lisbona secondo Voltaire

Il terremoto di Lisbona, che si verificò il primo novembre 1755, fu una catastrofe tra le più impressionanti dell’epoca moderna. Colpì il giorno di Ognissanti la capitale di un paese (impero) cattolico e la devastò, causando la morte di quasi 100.000 persone. Lo sciame di discussioni e dibattiti che fece scaturire fu di portata mondiale e registriamo per quella circostanza quasi una sorta di anticipo di un’odierna breaking news planetaria. Si interessarono ovviamente scienziati e filosofi, letterati e artisti. Insomma, fu un avvenimento epocale che scosse le coscienze delle menti dell’epoca e che tuttora continua a sollecitare i nostri immaginari, soprattutto quelli più attirati dagli eventi catastrofici, molto più di quanto faccia l’epidemia di influenza spagnola, solo per fare un esempio più recente e più letale di soli cent’anni fa. L’editore Mattioli 1885, per la cura di un attivissimo Livio Crescenzi, porta in libreria la traduzione in prosa del poemetto che all’avvenimento dedicò Voltaire. Il volume intitolato Il terremoto di Lisbona (pp. 85, euro 8,90) contiene anche una lunga lettera di lettera di Jean-Jacques Rousseau e la stringata replica di Voltaire.

Si verificarono anche in quei frangenti i discorsi che, a intervalli regolari, si sono ripetuti in occasione dei grandi sismi: la natura e il rapporto dell’uomo con questa, l’antropizzazione, la riflessione attorno al bene e al male. Sono tutti discorsi che potrebbero essere liquidati da una mentalità scientifica che contempla il terremoto, di qualsiasi entità, come un avvenimento possibile e, in quanto tale, qualcosa che pone all’uomo dei “normali” problemi di adeguamento e prevenzione. Anche un paese come il Giappone, che come tutti sanno convive ormai abbastanza serenamente coi terremoti dal punto di vista delle costruzioni, ha comunque dovuto affrontare un disastro come quello di Fukushima che da un terremoto e maremoto è stato causato. La situazione italiana presenta altre fragilità, parimenti note, e questo librino ha oggi il sapore di un instant-book giocato sul nome di un classico, Voltaire per l'appunto, e non su un giornalista o anchor man di grido. I dibattiti a seguito di determinati fenomeni naturali esistono da secoli e l'epoca dei lumi fu per tanti versi un'epoca di globalizzazione ante litteram, completata sicuramente dagli sviluppi infrastrutturali mondiali dell'Ottocento. C’è una componente di riflessione e di rimbalzo che ogni terremoto porta con sé, a prescindere dal grado di “freddezza scientifica” con cui affrontiamo il tema. Che poi i continui richiami al pensare la fragilità funzionino prevalentemente al cospetto dei movimenti della terra non è una cosa positiva.
 
All’epoca di Voltaire si può dire che la sismologia come scienza non esisteva ancora e anzi, come ha ricordato Walter Benjamin, si può far risalire il suo atto di nascita alla riflessione che il terremoto di Lisbona iniettò nel giovane Immanuel Kant. Oggi, più che rinverdire dibattiti sull’ottimismo o sul pessimismo o sul problema del bene e del male sulla terra, e più che dar seguito a derive green e new age del pensiero cosmico, ogni nuovo terremoto dovrebbe interrogare radicalmente sul rapporto uomo e ambiente. Ad un livello diverso poi, potremmo spingerci a ragionare attorno ai disastri e alle catastrofi, aspetti che nelle società contemporanee hanno assunto gradi di visibilità ad altissima propagazione, fino a porci davanti a una sempre nuova estetica della catastrofe che ridifinisce passo passo, nelle nostre vite, il senso dei luoghi e dei tempi sui quali proviamo a collocarci. Catastrofe e sublime, concetti portanti, sono quindi ancora qui a ridefinirci, anche nella più straziante monotonia del giorno.

Nessun commento:

Posta un commento