venerdì 24 marzo 2017

7x7 con Cristina Alziati: "Come non piangenti" in una lettura di Alessandra Conte (sesta puntata)


7x7 è una rubrica articolata in regolari uscite metrico-stilistiche nell'arco di sette venerdì e dedicate ad un libro. Come non piangenti è il libro di poesia di Cristina Alziati, pubblicato da Marcos y Marcos nel 2011 nella collana Gli Alianti, per il quale è stata scelta l'immagine emblema del Vergesslicher Engel di Paul Klee. Le analisi sono tratte da un più ampio studio di Alessandra Conte, dedicato a Cnp nel 2014.

 

Ricapitolazione

In una notte come questa, e lontana
qualcosa mi aveva inciso nella mente
come elenchi i nomi. lo da allora
quando chiamo la terra e la casa
la dolcezza il pane, e dentro
c'è una notte come questa, io
quando dico terra,
è disfarla, dico, la terra - è farla

- quando dico mattina ed è questa
in cui guardo Sofia andare a scuola
con altri bambini, e domando
dove ora saranno i bambini dei fuochi
i soldati bambini, quando dico
mattina, e quegli altri, con i loro
giocattoli-mina quando dico bambini - 


                                                                                              

Il significato del titolo di questa poesia, Ricapitolazione, ne anticipa il tenore sia in termini di espressione che di contenuto. Il testo infatti ridice e riscrive uno dei caratteri essenziali della poesia dell’Alziati, già esposto implicitamente nella trattazione, e lo fa avvalendosi della figura della ripetizione. Questa si realizza nell’ossessiva riproposizione di frammenti di discorso volti alla precisazione, come quando chiamo, quando dico (ripetuto quattro volte, più una quinta con dico solamente) e dell’espressione deittica come questa, che riconduce alla realtà. Il primo verso indica al lettore una situazione notturna – simile ad una che l’autrice ha già vissuto nel passato – in cui presumibilmente sia coinvolto ed immerso: infatti è indicata con l’espressione come questa. Potrebbe sembrare un’apertura classica e cantabile, che ad orecchio richiami una sera leopardiana, per la posposizione dell’aggettivo che la qualifica, lontana, tramite la congiunzione coordinante e («In una notte come questa, e lontana»). È una situazione non nuova, quella notturna, in cui spesso l’Alziati stessa si trova nelle sue poesie, specie nella prima sezione Vicoli, ed è nella notte che si sente il grido di un istrice e l’aculeo di una storia si conficca, che vanno al suicidio i piccoli, che si muove quella domanda d’inferno, che si è soli e, infine, si scrive. Anche in quest’occasione si ribadisce che qualcosa si è inciso: nella carne o nella mente non importa, poiché i piani slittano. Si parla di parole, di nomi che si incidono. Potrebbero essere anche gli elenchi dei nomi delle vittime di stermini celebri, ma il caso specifico non è importante ai fini del messaggio. Ciò che conta è la riflessione sui destini che le parole comuni assommano in sé. Ciò di cui si parla, esplicitato nella seconda strofa, è dell’infanzia, racchiusa nel nome bambini e, con essa, di tutta la parte di umanità offesa. È di fatto sulla condizione degli esseri inermi su cui si posa lo sguardo qui. E una volta feriti, resi inermi – per il macigno che grava sulla mente a causa di fatti biografici, che scivolando simboleggiano tutte le ferite del mondo – il quotidiano nasconde sempre tra le sue pieghe dei punti di buio, un lato oscuro. Così usare parole semplici e medie non è più facile perché, dice l’autrice,
  
dentro c’è una notte come questa, io
quando dico terra,
è disfarla, dico, la terra – è farla
 

È come dire che ogni volta che si usa una parola la si mette in discussione, se ne vedono gli antri oscuri dietro al senso comune pieno e positivo, come di «la casa / la dolcezza il pane»: un elenco asindetico di parole medie che si accumulano con facilità, ma non così scontate per l’autrice. Dunque considerare tutte le variabili di realizzazione delle parole, significa anche guardare la pervasività del male, farlo emergere – come in altre poesie – inaspettatamente contiguo alla vita di tutti i giorni. Di conseguenza la mattina della seconda strofa paradossalmente è la notte, e con un azzardo si potrebbe ricostruire a ritroso il discorso così: «quando dico mattina» «c’è una notte come questa», e da qui di nuovo si pensa alla mattina dell’esordio. E’ come dire: quando vedo Sofia, vedo anche i bambini soldato e i bambini morti nelle guerre, come succede a Sereni che, guardando la figlia, vede «l’angelo nero dello sterminio» e «il bambinetto ebreo» invitato «al gioco del massacro» (nella raccolta Stella variabile),[1]o a Pusterla, che associa l’immagine della figlioletta felice a quella «della bambina schiacciata da un panzer a Gaza»[2].

La forma segue il contenuto: solo il primo periodo è segnato dalla chiusura del punto fermo, il resto del testo si articola in brachilogie frammentarie coordinate in una continua iterazione di espressioni, quasi fosse un continuo ragionare e riportare i pensieri della mente. Le due strofe sono apparentemente simili per numero di versi (la prima di 8, la seconda di 7), i quali presentano ampiezza medio-lunga. Tre di questi sono significativamente degli endecasillabi: il verso 8, frazionato con lieve pathos dai segni di punteggiatura, in cui si pone la questione di pensiero del fare e disfare le parole, cioè di mettere in discussione i nomi («è disfarla, dico, la terra – è farla»); il verso 10, dove si colloca la serena e prosaica immagine della figlia che va a scuola («in cui guardo Sofia andare a scuola»); il verso 13 che nomina esplicitamente l’altro lato della medaglia, i soldati bambini, invertendo la posizione di testa e usando due plurali al posto della sequenza ordinaria del sintagma “bambini soldato”, usato comunemente per indicare il fenomeno. Vengono qui sottolineate due diverse prospettive, una più “occidentale”, per la quale dei bambini vengono sfruttati nella guerra, e una più propria della vita di questi bambini, che in altre latitudini geografiche sono attributo secondario all’essere principalmente soldati. Lo stesso procedimento d’inversione, per sottolineare l’aberrante realtà, l’Alziati usa con l’espressione giocattoli – mina in luogo di “mine giocattolo”, per sottolineare che il diritto dell’infanzia inerme sarebbe quello di essere spensierata e di giocare senza rischiare la vita.

In questo contesto è palese lo stordimento che il linguaggio, che nomina con leggerezza, genera nell’autrice, che è costretta a ribadire io perché non riesce a capacitarsi di una tale semplicità, e si chiede dove siano tutte le vite che una sola parola racchiude. Ancora una volta, il mondo descritto e nominato con nomi comuni è segnato dall’instabilità e dalla labilità, che è anche stilisticamente presente. 


[1] VITTORIO SERENI, Sarà la noia, in Poesie e prose, Milano, Mondadori, 2013, p. 264. 
[2] FABIO PUSTERLA, Le prime fragole, in Folla Sommersa, Milano, Marcos y Marcos, 2004.

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