venerdì 17 marzo 2017

7x7 con Cristina Alziati: "Come non piangenti" in una lettura di Alessandra Conte (quinta puntata)


7x7 è una rubrica articolata in regolari uscite metrico-stilistiche nell'arco di sette venerdì e dedicate ad un libro. Come non piangenti è il libro di poesia di Cristina Alziati, pubblicato da Marcos y Marcos nel 2011 nella collana Gli Alianti, per il quale è stata scelta l'immagine emblema del Vergesslicher Engel di Paul Klee. Le analisi sono tratte da un più ampio studio di Alessandra Conte, dedicato a Cnp nel 2014. 

Adesso


Hanno mandato armi e ruspe
per sgomberare il campo
per demolire le baracche
dove vivono uomini donne bambini,
l’ordine è stato eseguito.

Hanno rassicurato i cittadini:
nessun allarme animali, nessun felino
risulta abbandonato di quelli
“che usano romeni e altre etnie
per dare caccia ai topi” è stato scritto.

Posso indicarti i luoghi e il giorno.
Perché la mia età ho scordato?

Sulla melma del fiume
guardo scorrere lentissimi
cadaveri, qui sotto Ponte Milvio.
Ne riconosco i volti, furono assassinati
buttati morti o vivi nella Senna,
li chiamavano ratti, è ottobre, sono d’argento.

Compio ora gli anni della terra offesa.



Il testo, uno dei più rappresentativi del libro, appartiene alla sezione dedicata all’Angelo Smemorato, ed il tempo – la storia – ne è la dimensione portante. Il titolo Adesso delinea il tempo in cui l’io prende la parola nel momento in cui il male di ieri rivive nell’oggi. I versi che lo compongono costituiscono un estratto della prosa del mondo: si tratta di materiali non lirici, di denuncia, eterogenei e prelevati dall’impoetico.

La poesia si articola in cinque parti: ad un’apertura simmetrica di due strofe di cinque versi ciascuna, segue una divaricazione costituita da un distico che conduce ad un’ulteriore strofa, leggermente più lunga delle prime, di sei versi. Un verso isolato chiude infine la sequenza. Le due partizioni iniziali sono raccordate e accomunate da similarità: la terza persona plurale del passato prossimo caratterizza gli incipit con anafora dell’ausiliare avere (hanno mandato; hanno rassicurato); così come l’explicit ripropone in epifora lo stesso tempo storico, però in forma passiva (è stato eseguito; è stato scritto). Le due strofe sono inoltre complementari poiché propongono uno sguardo sulla medesima scena, ma da un punto di vista diverso: in una si mostra la panoramica sul campo nomadi, e nell’altra sul resto del mondo, la realtà esterna ad esso che viene riportata tramite inserti di attualità. E’ necessario, a questo punto, fare cenno al contenuto che viene così trattato. In un contesto di deboli rimandi sonori, ad eccezione dei fenomeni più visibili – a cui aggiungere la rima bambini: cittadini tra i versi quattro e sei, che collega le due realtà complementari, e l’iterazione della preposizione finale per ai vv. 2 e 3 – vi è la storia, quella dolorosa, che si ripete. Si tratta di “emergenze da un passato di crudeltà e orrore non redento”, […] che “riaffiorano lungo una linea di continuità – cioè su un tempo lungo – che riallaccia lo ieri all’oggi”[1]. Si tratta dello sgombero a Roma, nell’autunno del 2007, del campo nomadi di Tor di Quinto, dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, e delle “ratonnades” di Parigi nell’ottobre del 1961. “Ciò da cui vorremmo distogliere (oggi, o sempre) lo sguardo e quel che è dimenticato sono rimessi in circolo, si noti bene, contemporaneamente[2]. All’analisi, si nota la dinamica tra i tempi e le persone dei verbi: il passato prossimo caratterizza il racconto di cronaca delle prime due strofe alla terza persona plurale; il presente (prima persona singolare) del primo verso del distico di rottura e del primo periodo della quarta strofa (posso indicarti; guardo) attualizza e fa slittare i piani, di modo che scatti la sovrapposizione tra i fatti. Nel secondo periodo, dal verso 16, al presente in prima persona singolare conseguono il passato remoto e l’imperfetto alla terza persona plurale (riconosco; furono assassinati; li chiamavano) per poi ritornare al presente (è ottobre; sono d’argento). Quest’aspetto rende evidente una caratteristica significativa del libro, uno dei nuclei di pensiero più rilevanti della scrittura di Alziati, cioè il trattamento del tempo, e l’autrice sceglie diversi modi per svilupparlo. Qui è la ricerca dell’effetto di stravolgimento della cronologia: il presente, evidenziato dai deittici qui ed ora, è il momento dell’addensarsi del passato, che non passa e chiede ancora ragione. E ciò risponde alla volontà dell’autrice di segnalare, accanto alla realtà del testo, il testo del mondo che costituisce il pretesto per rimandare il lettore all’esterno, nella realtà del qui ed ora in cui si addensano le ingiustizie, e in cui le continuità temporali non procedono lungo la linea cronologica accumulativa, ma per scatti di brani di storia lontani. La tecnica è quella del montaggio allegorico e del collage di frammenti di realtà, così come specificato nelle esaurienti note, che spiegano la natura degli inserti riportati (dal comunicato dell’occupante nazista che rende noto il massacro delle Fosse Ardeatine – «l’ordine è stato eseguito» –  al breve articolo online sull’uso dei felini per dare caccia ai topi nel campo nomadi – «che usano romeni e altre etnie / per dare caccia ai topi»). E’ interessante a questo punto rilevare come le immagini ed i suoni interagiscano nella resa generale del senso. Questa poesia offre un condensato di alcune immagini che si affollano e creano cortocircuiti. Lo sgombero del campo e il conseguente ammasso di persone che ci vivono, evocato nella serie in asindeto uomini donne bambini,  richiama visivamente una massa di vittime (anche quelle dell’esecuzione nazista); i topi del frammento di cronaca ricordano i ratti, nella feroce caccia parigina del ’61; il Tevere limaccioso è allo stesso tempo la Senna densa di cadaveri algerini. A questa evidenza visiva non partecipano sensazioni uditive precise, ma sembra di assistere alla proiezione di un film muto in cui le grida sono bloccate in un unico gemito (altrove l’aculeo, la crepa, o anche l’ago del mondo fortiniano) che emerge dalle viscere della Terra, dell’umanità stessa. «Compio ora gli anni della terra offesa»: con l’ultimo verso il tempo individuale si identifica con quello collettivo della parte offesa e avviene l’assunzione del dolore del mondo (come in «una è la storia / che ci crepa. E dentro quella, dentro / ciascuna ora del mondo»; «sono / l’anima ingombra del loro farsi mute»; «qualcosa mi aveva inciso nella mente»), l’autrice viene “a compimento” del dovere di scriverne, e di nominarlo, ed è nel silenzio succitato che si generano i versi, quando il mondo diventa silenzioso e poi viene scritto[3], così come la riflessione metapoetica evidenzia in altri passi del libro. Non modalità ottativa e desiderio, quindi, ma constatazione e presa d’impegno. In generale, pur presentando orrori e storie cruente, si può dire però che in questo, come negli altri testi, la dizione non sia impostata su toni di denuncia urlata, ma l’impatto del reale trovi attutimento, qui, nell’esecuzione delle immagini al rallentatore senza sonoro. L’effetto è di straniamento e non identificazione, che mira forse al coinvolgimento non emotivo, ma critico, del lettore. L’unico cenno, semmai, di sarcasmo o di partecipazione risentita sta al v.7, nell’anafora «nessun allarme animali, nessun felino» e nell’uso di quest’ultimo termine, al posto del più comune gatto.

Merita cenno, inoltre, il trattamento metrico - sintattico del materiale, un altro aspetto personale del testo e del libro. Il periodare si esplica con semplicità, brachilogie accostate asindeticamente indicano la semplicità stessa del male. I punti fermi coincidono in questo testo sempre con la fine del verso, contribuendo a stagliare le frasi con nettezza e attribuendo alla trattazione un lieve carattere di perentorietà. Trova spazio anche un verso - domanda, che pone l’inizio del dubbio temporale. In questa struttura i versi si aggirano, con misure leggermente più lunghe o più brevi, a quelle tradizionali del settenario e dell’endecasillabo. Anzi, vi si trovano significativi endecasillabi e ritmi riconoscibili. Il v. 10, ad esempio, perfetto endecasillabo che raccoglie proprio un estratto virgolettato della prosa del mondo, viene ripreso nello stesso ritmo giambico del v. 17, dal crudo contenuto. Paradossalmente, la parte di metrica tradizionale è quella che usa i termini meno lirici. Si tratta di un inserto notevole per l’effetto di straniamento cantilenante. Altro passo da notare per il trattamento metrico è tra i vv. 14-15, rispettivamente ottonario sdrucciolo ed endecasillabo («guardo scorrere lentissimi / cadaveri, qui sotto ponte Milvio»). Il verbo, con l’evidenza e la pacatezza del presente indicativo, si colloca prima di una serie di tre termini sdruccioli in successione, «scorrere lentissimi / cadaveri». Con l’inarcatura e l’anticipazione dell’aggettivo superlativo – di poco più lungo – rispetto al sostantivo, l’autrice mette in atto la moviola di immagini silenziose cui si è già accennato.

[1] LENZINI L., “La perseveranza. Sui versi di Cristina Alziati”, cit., p. 15.
[2] Ibidem.
[3] Incontro Testo, “Incontrotesto – Incontro con Cristina Alziati”, cit., p. 1
2.

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