martedì 14 febbraio 2017

"Elegia" di Lev Rubinštejn, nella traduzione di Alessandro Niero e con le illustrazioni di Stefano Ricci

Certe volte pensi fra te e te: «Beh, allora, caro, quando ti decidi a dire la tua senza mezzi termini? Quello bisogna fare. E invece, cazzo, sempre “arte”, “arte”...»

Ci sono alcune informazioni che si possono dare in avvio: la collana Isola, un progetto tra la poesia e il disegno partito nel 2013, riprende le pubblicazioni dopo un silenzio protratto; lo fa con una proposta da un poeta russo poco frequentato in Italia, tradotto da uno dei nostri più preparati slavisti. Elegia di Lev Rubinštejn (pp. 32, traduzione di Alessandro Niero e illustrazioni assai belle di Stefano Ricci) costituisce un'occasione per affacciarsi sulla poesia che si è scritta fuori dai nostri confini, ed è questa, quasi sempre, un'occasione da sfruttare. Anche perché - diciamocelo - spesso si perdono di vista i libri e quello che accade in poesia, dentro i nostri confini politici e linguistici, si riduce ai toni asfittici di qualche discussione campata in aria. La cartina di tornasole di un cervello poetico poco ossigenato è ormai il divagare schizofrenico, ora di ottimismo convinto ora di pessimismo catastrofico, sullo stato di salute dei versificatori nostrani (penso ad articoli che davvero a nulla servono se non al conto corrente di qualche collaboratore dei supplementi culturali). Non credo sia solo una mia impressione che si traduca troppo poco la poesia che si scrive altrove. Questo fatto già non è il massimo di per sé, ma se si inserisce in un panorama dove le chiacchiere superano di gran lunga la preparazione e la volontà di leggere, leggersi e confrontarsi , allora diventa un ulteriore ostacolo e capiamo perché la traduzione di poesia diventa quasi un valore in sé o un antidoto al veleno almeno, una facilitazione di una scoperta. Del resto è abbastanza facile riconoscere che, più che a un confronto schietto, l'attuale "comunità" di chi scrive e compra libri è improntata a un controllo di tutti contro tutti e non certo a una verifica dei poteri e soprattutto delle impotenze. Il gesto di proporre poesia in traduzione può dunque, a mio avviso, essere salutato come un vaccino contro i virus di questa stagione di grossa incertezza ed è una delle poche attività che ha senso incoraggiare e sostenere (altrove invece incoraggiamento e sostegno hanno perso del tutto le loro ragion d'essere, anche nei piani "generazionali"). Sul finire di questa introduzione aggiungo che chi ha maneggiato in passato i minuti libri di questa collana troverà stavolta un numero di pagine raddoppiato rispetto ai precedenti titoli del contenitore ideato e curato da Mariagiorgia Ulbar e Andrea Bruno.

Preceduto da una breve apparizione in un'antologia di Clueb del 2007 intitolata Il poeta è la folla. Quattro autori moscoviti: Vsevolod Nekrasov, Lev Rubinstejn, Michail Ajzenberg, Aleksej Cvetkov (a cura di Eugenia Gresta), questo nuovo contributo alla conoscenza della poesia di Lev Rubinštejn racchiude 47 frammenti che iniziano tutti con "Certe volte...". Già a metà della lettura l'effetto di accumulo è prossimo all'ipnosi. Il testo originale russo è in coda e non a fronte, dal momento che la contrapposizione ricercata in questi libretti è tra poesia e immagini, più che tra lingue disposte sullo specchio di pagina. Può interessare sapere qualcosa del sistema con cui questo poeta e saggista russo (classe 1947) è solito vergare i fogli della propria poesia: si tratta di tessere, simili a quelle della catalogazione bibliografica di una biblioteca. Ecco uno stralcio in 5 frammenti:



34.
Certe volte ti si ficca in testa una certa frase e cerchi di sbarazzartene. Peccato: in essa, forse, si cela il senso recondito di ciò che sta accadendo in quel momento.
35.
Certe volte ti scalmani tanto in cerca della agognata quiete, ma basterebbe aspettare: e tutto arriverebbe.
36.
Certe volte è come se ti stessi avvicinando a una certa cosa, ma quella non fa che allontanarsi, allontanarsi.
37.
Certe volte ti avvicini al limite fatale, sosti un attimo a riflettere, poi lo oltrepassi.*
38.
Certe volte non si dovrebbe perdere letteralmente neanche un minuto e noi, invece, siamo lì che indugiamo, indugiamo.
* Allusione all’ incipit della poesia Est’ v blizosti ljudej zavetnaja čerta... (C’è nella vicinanza umana un limite fatale, 1915) di Anna Achmatova.


C'è poco da aggiungere forse, si tratta di un libretto che si sta prima a leggere e che può incuriosire nuovi lettori. Poi, va da sé, si può anche rileggere, come tutte le cose scritte, e allora incrementerà la densità che possiamo percepire, anche negli intervalli dei 47 frammenti. Alcune informazioni prima di concludere: il sito della collana Isola, al quale potete rivolgere eventuali richieste, si trova qui, mentre a questo link potete liberamente consultare una tesi di laurea di Sara Zaghini su Lev Rubinštejn.

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