domenica 27 novembre 2016

Il nome giusto per la casa editrice di racconti è Racconti Edizioni. Intervista con Emanuele Giammarco

Librobreve intervista #71

All'inizio del 2016 a Roma è nata una casa editrice specializzata in racconti. Si chiama Racconti Edizioni. Ospito di seguito le risposte di Emanuele Giammarco, che ringrazio.


Lo scarafaggio capovolto, l'emblema
LB: Sul web vanno per la maggiore le liste, i decaloghi. Vi va di stilare un elenco con i titoli dei dieci racconti che improntano la vostra idea editoriale e la vostra idea di catalogo e del suo sviluppo? Quei dieci racconti che secondo voi hanno cambiato il corso degli eventi di quella che, in ambito internazionale, si definisce "short story"? (Teniamoci una bonus track n. 11 per il racconto che vorreste pubblicare e non avete ancora letto.)
R: Ci sembra un compito assai arduo con cui misurarsi, è un po’ come cercare di assemblare un album con la colonna sonora della propria vita. Questi sono solo alcuni di quelli che ci piacciono e che di recente, inesorabilmente, hanno fatto prendere quella piega surreale alle nostre vite che ci ha trasformato in editori, per quanto improbabili. I racconti sono in ordine perlopiù casuale. Difficilmente ci facciamo ingolosire per la pubblicazione da un libro non letto. Quindi occupiamo la bonus track con un genio.

1. Bartleby lo scrivano di Herman Melville.
2. Un medico di campagna di Franz Kafka.
3. Pastoralia di George Saunders.
4. Gli storpi entreranno per primi di Flannery O’Connor.
5. Qualsiasi cosa di Michele Mari.
6. Manuale per donne delle pulizie di Lucia Berlin.
7. Something Nice from London di Petina Gappah.
8. Ultimamente invece mi si rizza di Etgar Keret.
9. Il sogno di Cesare di Luigi Malerba.
10. La Torre Rossa di Thomas Ligotti.
Bonus track L’incendio di via Keplero di Carlo Emilio Gadda.

LB: Lo scrivete chiaramente anche nel vostro sito: in origine del vostro progetto ci sono anche le molte "chiacchiere" sul racconto (non vende, non è curato dall'editoria nostrana, non è ben recepito dai lettori che sembrano preferire romanzi dalle 800 pagine in su ecc.). Vi siete già dati delle risposte su questo scenario che si è creato negli anni o preferite darvi delle risposte lavorando e progettando, strada facendo? Di primo acchito quale sarebbe ed è la vostra obiezione a una frase come "tanto il racconto non funziona in Italia"?
R: «Può darsi, speriamo di no, in ogni caso chi se ne frega.» Non abbiamo nessuna certezza che possa funzionare editorialmente, però abbiamo la certezza che i lettori possano senza dubbio innamorarsi di un racconto allo stesso modo in cui lo fanno con un romanzo. Bisogna vedere se un numero sufficiente di lettori lo capisce, decide che le nostre scelte sono interessanti e decide pure di spendere dei soldi per noi in mezzo a tante splendide opzioni letterarie. Se così non è, il «chi se ne frega» di cui sopra potrebbe diventare ridicolo. Però sono comunque sicuro che non ce lo toglierebbe dalla testa nessuno che i racconti non hanno nulla da invidiare alle altre forme letterarie. Poi ci sono tantissime raccolte meravigliose in giro, non solo le nostre. Noi dobbiamo convincere a prescindere dalla nostra battaglia sul racconto. Siamo contenti anche se cominciano a vendere di più Ballard, Yates, Čechov, Buzzati, Berlin, Poissant ecc.

LB: Un po' di terminologia: "racconto" e "novella". Il secondo termine ha un peso rilevante nella nostra tradizione, da Boccaccio ad autori più vicini come Verga o Pirandello. Vi siete posti anche questo interrogativo di natura terminologica? Cosa è uscito dalla riflessione?
R: Ci siamo posti molti problemi su come definire il racconto, senza mai cavarne molto in realtà. In fondo la discriminante più immediata è anche la più giusta: si tratta di una «forma» breve. I francesi lo chiamano ancora nouvelle. Nonostante la gloriosa tradizione a cui giustamente richiami tu, noi italiani abbiamo spostato l’asse semantico, come credo gli spagnoli, su «racconto». I latini, in generale, mantengono però tutte e due le espressioni cercando ogni tanto di individuare una differenza che in fondo non c’è. Interessante invece notare come gli inglesi abbiano chiarissima la definizione di short story, e quindi di short story writer, usando invece l’espressione novellas per i racconti lunghi, da Piccola Biblioteca Adelphi per capirci. I cambiamenti linguistici sono un dato di fatto contro cui sarebbe donchisciottesco combattere. Quindi ci teniamo il termine «racconto» e abbracciamo la «novella» come racconto più lungo. In fondo il «raccontare», nella sua generalità, sembra alludere al nocciolo dell’azione di scrivere e narrare, riportando la forma letteraria breve al senso più originario della letteratura.

LB: Sul fronte traduzioni, come pensate di bilanciarvi tra eventuali riproposte di traduzioni del passato e nuove traduzioni?
R: Nel caso in cui un libro sia stato già tradotto, non perseguiamo un modello prestabilito. Ci limitiamo a rileggere l’originale per valutare la traduzione. Sin qui non ci è mai capitato di dover dire: «è necessario cambiare la traduzione». Con Chiara Vatteroni abbiamo rivisto e migliorato Lezioni di nuoto di Rohinton Mistry, così come è capitato con Luigi Ballerini con Stamattina stasera troppo presto, in cui c’era anche una questione linguistica che ci stava a cuore: la traduzione fedele dei molti modi in cui Baldwin e i suoi personaggi chiamano i neri americani. I grandi traduttori sono ben lieti di rileggersi e migliorarsi, non è stato così difficile. Nel caso ci siano delle proposte di ritraduzione, del resto, siamo ben lieti di ascoltarle e magari di accoglierle. In quel caso è giusto dare credito a chi si spende per la pubblicazione di un libro. L’idea comunque è di spendere del tempo per rileggere a fondo il testo, anche nel remoto caso che non ci sia nulla di migliorabile. Ma c’è sempre qualcosa, è una questione di semplice cura editoriale.

LB: Quale ambito della filiera editoriale, a vostro avviso, necessita di maggiore portato di innovazione: la ricerca dei testi, la produzione, la distribuzione o la promozione?
R: Una domanda complessa a cui dobbiamo per forza di cose premettere, prima di rispondere, un moto di umiltà: siamo nuovi del settore e non è il caso di catechizzare troppo la filiera. Addetti molto più esperti di noi hanno strumenti più adatti per farlo. Fatta questa premessa credo che il dato più eclatante sia la diminuzione del numero dei lettori e dei lettori forti. Una vera piaga epocale, perché in controtendenza con la pur lenta ascesa dal dopoguerra in avanti. Oggi il mercato è gestito dai grandi gruppi editoriali, da Messaggerie e dalle catene. A loro pertanto è dato il compito di rispondere di questo dato sinistro. L’impressione è che la gestione monopolistica nei più decisivi passaggi della filiera alla lunga sia controproducente. Prendersela con chi detiene i monopoli però non ha molto senso, fanno il loro gioco com’è ovvio che sia. Bisognerebbe imprimere una direzione a livello politico, attraverso leggi che valorizzino la bibliodiversità e il lavoro di chi sostiene la curiosità innanzitutto, a prescindere dall’interesse immediato. È una questione di prospettiva: un libro così così oggi può vendere anche di più di un bel libro; un libro bello invece, che oggi forse vende di meno, domani è sicuro che venderà di più e che farà da sprone all’acquisto di altri libri.

LB: Per la casa editrice avete scelto un nome che ha il vantaggio di posizionarvi immediatamente nel panorama ma che forse non vi consentirà di aumentare agilmente la lunghezza qualora – poniamo tra cinque anni – vi venga voglia di pubblicare romanzi. Ci avete pensato a quest'eventualità e non vi disturba affatto?
R: Quando ci arrenderemo a pubblicare romanzi vorrà dire che il progetto editoriale avrà perso. Speriamo con tutto il cuore di non pubblicare romanzi. Non perché non ci piacciano, ma perché abbiamo a cuore il nostro progetto editoriale e la fiducia richiesta ai lettori che questo stesso progetto comporta. Ci chiamiamo Racconti e continueremo a pubblicare racconti. Sulle novellas al massimo – una forma che ci piace assai – siamo apertissimi.

Eudora Welty (1909 - 2001)
LB: Potete dare qualche anticipazione sulle future pubblicazioni? Grazie.
R: Alcune di queste sono già note perché ne abbiamo parlato in altre sedi. C’è stato un piccolo ritardo ma pubblicheremo sicuramente Eudora Welty con Una coltre di verde. Una raccolta che era uscita anni fa per Editori Riuniti ma in una versione alquanto sfigurata. Di fatto sarà un vero e proprio inedito, con racconti mai visti e letti in Italia, tra i quali l’importantissimo Why I Live at the P.O. Le traduzioni sono magnifiche: Vincenzo Mantovani e Isabella Zani, due pesi massimi assoluti con cui siamo onorati di aver potuto lavorare. Nella prossima primavera sarà anche il turno di Mia Alvar, tradotta dalla mitica Gioia Guerzoni. Un libro di un’intensità incredibile, In The Country, che ha fatto innamorare già molti (biecamente basterebbe vedere i premi che ha vinto la raccolta). Si apre una stagione al femminile che proseguirà con nomi pazzeschi. Non voglio anticipare proprio tutto. Stiamo lavorando a ritmi serrati per definire il prossimo anno, che dovrebbe vedere il nostro primo libro di narrativa italiana, a cui teniamo particolarmente.

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