domenica 25 settembre 2016

da "Yellow" di Antonio Porta (in morte di G.P. e sulle campane del Veneto)

Una "poesia" da #61


Rileggendo a distanza di molto tempo Yellow, libro postumo di Antonio Porta pubblicato da Mondadori nella collana Lo Specchio nel 2002 (pp. 172, a cura di Niva Lorenzini, note di Fabrizio Lombardo, difficile reperibilità, costava euro 9,40), mi sono imbattuto nella breve prosa datata 31.8.1986 che propongo di seguito. L'avevo dimenticata in quanto prosa legata alla morte di uno scrittore veneto, mentre qualcosa di questo discorrere sulle campane del Veneto era rimasto sottotraccia. A qualcuno la data avrà già suggerito qualcosa, e comunque non è passato molto tempo da quando, anche qui, abbiamo ricordato la morte di Goffredo Parise avvenuta quel giorno di tarda estate. Il brano che propongo di seguito è interessante perché insegue un fenomeno acustico che non possiamo credere segnatamente veneto ma che tuttavia si può ritenere particolarmente significativo in questa terra di campanili, i quali sicuramente attirano l'attenzione, non solo acustica (accompagnando per lavoro o piacere persone di diversa provenienza noto che, dagli USA alla Cina, restano tutti colpiti da queste torri campanarie che si susseguono ad ogni paesello del Veneto atomizzato). Allo stesso tempo, non credo sia un passo che interessa solo i veneti o chi ha una certa cognizione di campane venete oppure di campane e basta. Ricordo infine che, come Parise, Porta era nato a Vicenza (nel 1935). 




Sento alla radio che questa mattina alle 9 è morto uno scrittore (G.P.). La radio, sono le tre p.m., trasmette un'intervista di un paio d'anni fa. Sento le campane che suonano e per un momento credo che siano di una chiesa vicina. Ma il loro ritmo martellante, continuo mi riporta dentro la radio. Sono campane del Veneto, sullo sfondo dell'intervista a casa dello scrittore, vicino al Piave. Il linguaggio delle campane dei Veneto è per me inconfondibile. Che cosa dice? Ecco, per rispondere a questa domanda dovrei raccontare 15 anni della mia vita, una donna, due figli, una morte (mio fratello). Le campane del Veneto suonano monotone, sempre identiche, sullo sfondo. Non sono funebri, non parlano di morte piena, ma neppure di vita piena. Non so, non voglio, non posso sapere. Scrivo qui forse per dire che non voglio rispondere.
Il sonno come esperienza della morte quando il corpo si irrigidisce troppo nel sogno. La coscienza scompare resta la visione. 
Le campane del Veneto sono come il primo suono, lontano e vicino, ascoltato dall'uomo. Come il motore di un piccolo aereo vuol dire, per me, annuncio di estate e sabbia e luminosità, così le campane del Veneto significano eros, voglia ininterrotta d'amore. Il linguaggio di quelle campane è (univoco dunque) interpretabile all'infinito: ognuno può sovrapporci, come le parole di una canzone, la propria esperienza, ecc. ecc. 
31.8.1986 

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