mercoledì 18 maggio 2016

Enrico Emanuelli: "Una lettera dal deserto" e le altre riproposte di Endemunde

La casa editrice Endemunde ha riproposto all'interno della collana 60/70, dedicata alla riscoperta dei titoli pressoché dimenticati di quei decenni, un libro di Enrico Emanuelli uscito inizialmente nel 1955 col titolo Le lettere del Capitano e poi, in edizione ampliata, con l'attuale titolo Una lettera dal deserto, cinque anni più tardi. Non è l'unico titolo disponibile tra quelli dello scrittore e giornalista che condivise per qualche anno con Eugenio Montale l'ufficio di direzione della pagina culturale del "Corriere della Sera", fino alla morte per arresto cardiaco la notte del primo luglio 1967, all'età di 58 anni. Sempre Endemunde ha infatti proposto qualche anno fa, nella stessa collana, Un gran bel viaggio, volume inizialmente comparso ne "I narratori di Feltrinelli" proprio nel 1967. Scrittore precoce (esordirà nemmeno ventenne nel 1928 con Memolo, ovvero vita, morte e miracoli di un uomo, ripescato da Manni non molti anni fa), autore di una biografia del Pindemonte, reporter e viaggiatore (scrive dalla Russia, dall'India e dalla Cina), traduttore dal francese (Constant, Stendhal, Gide, Voltaire), Emanuelli è uno dei tanti autori dimenticati dal sistema editoriale e quindi ripresi o ripescati che dir si voglia. (Sia detto per inciso che l'antiquariato librario o comunque il "fuori commercio" assume sempre più curiosamente i tratti di un universo parallelo, di una piscina senza corsie, così diversa dalla piscina irregimentata del "disponibile".) La casa editrice Endemunde ha inaugurato un ciclo di riproposizione delle sue opere che proseguirà con la pubblicazione del libro postumo Curriculum mortis.

Una lettera dal deserto (pp. 64, euro 8) uscì quindi nella forma in cui lo leggiamo oggi nel 1960 per Il Saggiatore. La vicenda è ambientata circa a metà del secolo scorso, in Perù. Qui vive un ex tenente e medico del nostro esercito, assieme a una moltitudine di indios e di capi di bestiame. La solitudine è rotta dall'arrivo di un giornalista che nella narrazione ha un ruolo di primo piano e parla in prima persona (anche se il vero "narratore" è l'ex tenente). La lettera del titolo è una lettera mai spedita dall'ufficiale, soltanto annunciata, sulla quale si concentra il mistero che sorregge l'impianto della storia. Via via che la breve storia si dipana ci avviciniamo all'esperienza di guerra in Libia, alla prigionia del tenente e infine all'amaro del ritorno a casa del reduce. Anche questo breve libro di Emanuelli affronta uno dei temi giganti della narrativa del Novecento, vale a dire quello del ritorno, per meglio dire del ritorno a casa dopo la guerra. I dialoghi che Emanuelli ha saputo contenere in queste poche pagine lasciano addosso stupore, se paragonati ai tanti dialoghi legnosi della prosa di oggi. La conversazione in Perù tra il tenente e il giornalista sa colpire per "eleganza e snellezza", doti già ricordate da Giacomo Debenedetti nelle sue note editoriali per la "Biblioteca delle Silerchie" de Il Saggiatore. Poco da fare: Emanuelli, giornalista dei grandi quotidiani, partito col desiderio di "diventare un letterato" e finito per "diventare uno scrittore", ci interessa e ci auguriamo di leggerlo ancora. Anche la differenza tra letterato e scrittore è gigante, e nella sua piena comprensione spesso ci giochiamo o freghiamo tutto. Qui sotto, a chiudere, il passo finale del libro e del dialogo tra l'ex tenente e il giornalista:
[...] «Ma loro» dissi «erano alla vigilia della morte.»
«Oh, se è per questo anche noi lo siamo e non vogliamo mai pensarci. Guardi i quattro indios che fingono di dormire sul primo gradino del bungalow: vivo con loro e con altri duecento che sono adesso sparsi ai margini della foresta. La mia fortuna nasce dal fatto che mi trovo in una posizione eccezionale, in un luogo eccezionale, in mezzo a uomini e donne eccezionali. Me ne rendo conto. Ma tutto ciò serve a non mettere nessuna riserva o compromesso tra i miei pensieri e le mie parole, tra le mie parole e i miei gesti. Mi sembra di toccare a ogni istante la verità, come proprio fecero Petriccione, Ognibene e Salvini nel deserto della Marmarcica.»
Il narratore, dopo un attimo di esitazione, aggiunse: «Oh, la prego ancora una volta: non mi consideri un presuntuoso e neanche un vigliacco. E adesso rientriamo, fa freddo.»

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