domenica 10 aprile 2016

"Nella notte cosmica" di Roberta Durante. Una nota di lettura a cura di Luca Rizzatello

Pubblico di seguito una nota di lettura scritta da Luca Rizzatello sull'ultimo libro di poesia di Roberta Durante intitolato Nella notte cosmica uscito qualche settimana fa per Luca Sossella Editore.


Cyrano de Bergerac, The Other World: History of the States and Empires of the Moon, 1657

Io sono nero di amore
né fanciullo né usignolo
tutto intero come un fiore,
desidero senza desiderio.

Mi sono alzato tra le viole,
mentre albeggiava,

cantando un canto dimenticato
nella notte uguale.
Mi sono detto: «Narciso!»,
e uno spirito col mio viso
oscurava l’erba
al chiarore dei suoi ricci.
1

La prima poesia di Nella notte cosmica, di Roberta Durante (Luca Sossella Editore, 2016) esordisce in medias res, ma questo lo si capirà soltanto alla fine; che poi è l’inizio; forse. Ciascuna poesia del libro, tripartito in TerraLuna e Cielo, va intesa come una tappa di un viaggio che, va ribadito, non prevede una vera partenza, e non prevede un vero arrivo. È proprio il rapporto tra il vero e il finto (più che tra il vero e il falso) uno degli oggetti di analisi di uno sviluppo narrativo che si risolve, a un grado zero, in un dialogo (in effetti sui generisma qui nessuno aveva detto niente a nessuno/ il nostro era stato soltanto un gioco di sguardi, p. 602) tra chi ci racconta la storia – che chiamerò S – e la luna.
Un fremito percorse l’assemblea: Barbicane, cavatosi il cappello dal capo con rapido gesto, continuò il suo discorso con voce pacata:
«Non v’ha alcuno tra voi, onorevoli colleghi, che non abbia veduto la luna, e tanto meno che non ne abbia udito parlare. Non vi sorprenda se qui vengo a intrattenervi dell’astro della notte; forse ci è riserbato di essere il Colombo di questo mondo sconosciuto. Comprendetemi, secondatemi con tutte le vostre forze, io vi guiderò alla sua conquista, ed il suo nome si unirà a quelli dei trentasei stati che costituiscono il gran paese dell’Unione.
— Viva la luna! esclamò il Gun-Club ad una voce.
— Si è molto studiato la luna, riprese Barbicane! la sua massa, la sua densità, il suo peso, il suo volume, la sua costituzione, i suoi movimenti, la sua distanza, la sua parte nel mondo solare sono perfettamente determinati; si sono fatte carte selenografiche con una perfezione che pareggia, se pure non la supera, quella delle carte terrestri; la fotografia ha dato prove d’incomparabile bellezza del nostro satellite. In una parola, si conosce della luna tutto ciò che le scienze esatte, l’astronomia, la geologia, l’ottica possono apprenderci; ma fino ad oggi non è mai stata stabilita alcuna diretta comunicazione con essa.»3
Quindi: il viaggio di S origina da un desiderio, esaudito dalla luna; e le metamorfosi che seguiranno, necessitate per lo più da contingenze ambientali, saranno esse stesse delle estensioni del desiderio di metamorfosi, ponendo la questione di cosa sia in funziona di cosa:

soltanto lei sapeva come mi sentivo:
già carica di nulla
con tutto l’entusiasmo
di chi sospende in gioco l’incredulità
un teatro già vivo e già morto
una storia senza storia
un carnevale con tutte le mie facce4
(p. 12)

In contrasto con la finta umiltà del pellegrino Dante (che non è né Enëa  Paulo eccetera), S smania all’idea del viaggio (convinta ormai com’ero/ che senza gravità sarebbe stata tutta un’altra cosa, p. 23), nonostante gli avvertimenti della luna (che tu non creda – continuò/ che farti un giro senza gravità ti renda più leggera”, p. 15), che a questo punto visualizzo come un mash-up tra Virgilio e il Grillo Parlante5. Ancora: se il pellegrino Dante si deve mettere in viaggio per non farsi sbranare dalla lupa (che in altri termini significa che non ha scelta), S si trova a dover gestire un numero imponderabile di possibilità (mi volle più indecisa ancora e ancora senza scelta, p. 22).
Passarono le ore. Dorothy si sentiva tranquilla ma anche molto sola; il vento continuava ad ululare così forte che quasi l'assordava. In principio aveva temuto che la casa ripiombasse a terra, seppellendola tra le macerie, poi, visto che il tempo trascorreva senza che accadesse niente, decise che non era il caso di preoccuparsi ma di aspettare con calma gli eventi. Strisciò sul pavimento oscillante fino al suo letto, ci si arrampicò e si sdraiò, subito imitata da Toto6.
Nella sezione Cielo, che ha la funzione di raccordo – narrativo e teorico –, vengono descritte le procedure con cui avviene il distacco, non senza ripensamenti (mi fecero passare oltre la voglia/ la forma che pensavo fosse la vera materia/ che non fosse il caso pensai/ di ritornare piedi a terra a vivermi la vita in gravità/ continuando a temere non me/ ma le cose che erano tutte sparite?, p. 49). Sulle cangianti modalità del viaggio non dirò nulla, per non rovinare la sorpresa al lettore; dirò che l’individuazione di S si esprime in forma radicalmente creativa (in una lotta più lunga della vita/ contro l’identità già fatta e finita, p. 78), e prende le mosse dall’eventualità del non ritorno (attenta a non aprirmi a non disperdermi/ a perdere di nuovo tutta me in un attimo, p. 55)7.
Così, nella sezione Luna, scompare la luna, e compare il mirto (che, per mantenere in piedi l’analogia, potrebbe ricoprire il ruolo di Beatrice/Fata dai capelli turchini8). Quello che è accade, avendolo già visto, non so né posso ridirlo.
Ma allora, quando nomino l’oblio, riconoscendo contemporaneamente ciò che nomino, lo riconoscerei, se non lo ricordassi? Non parlo del semplice suono di questa parola, ma della cosa che indica, dimenticata la quale, non varrei certamente a riconoscere cosa vale quel suono. Dunque, quando ricordo la memoria, proprio la memoria è in sé presente a sé stessa; allorché invece ricordo l’oblio, sono presenti e la memoria e l’oblio: la memoria, con cui ricordo; l’oblio, che ricordo. […] Così abbiamo presente, per non dimenticare, ciò che con la sua presenza ci fa dimenticare. Dovremo quindi intendere che non si trova nella memoria proprio l’oblio in sé, quando lo ricordiamo, bensì la sua immagine, poiché la presenza diretta dell’oblio ci farebbe non già ricordare, ma obliare? Chi potrà mai indagare questo fatto? chi comprendere come stanno le cose? […] Supererò anche la memoria, ma per trovarti dove, o vero bene, o sicura dolcezza, per trovarti dove? Trovarti fuori della mia memoria, significa averti scordato. Ma neppure potrei trovarti, se non avessi ricordo di te9.

Note

1 Pier Paolo Pasolini, Danza di Narciso, in La meglio gioventù, Sansoni, 1954
2 analogamente [contiene spoiler]: il mirto mi guardava senza gli occhi, p. 83
3 Jules Verne, Dalla Terra alla Luna, 1865, capitolo II
4 nella poesia successiva, coerentemente, si legge: pensavo per esempio/ al bruco quello perfetto che sarei stata;
[…] e poi cambiare rotta con il volo/ farfalla se decido quando voglio; nella quarta dimensione che è il libro
Club dei visionari (Di Felice Edizioni, 2014), di Roberta Durante, alla poesia 27 si legge: sarei stata un bruco
perfetto […] mi attaccavo alle pareti/ per risalire pian piano a ritroso
5 una metamorfosi che disattende le speranze di leggerezza, a vantaggio della gravità, mi fa pensare anche a 
Apuleio, Metamorfosi, XXIV: dopo avermi ripetuto più volte tali assicurazioni, entrò tutta emozionata in quella stanzetta e prese dallo scrigno il vasetto. Come io l'ebbi fra le mani me lo strinsi al petto e cominciai a baciarlo pregando che mi facesse fare voli felici, poi, liberatomi in fretta di tutti i vestiti, immersi avidamente le dita nel barattolo e preso un bel po' di unguento me lo spalmai su tutto il corpo. Poi, agitando le braccia su e giù mi misi a fare l'uccello, ma niente: penne non ne spuntavano e nemmeno piume; piuttosto i peli cominciarono a diventare ispidi come setole, la pelle, delicata com'era, a farsi dura come il cuoio, alle estremità degli arti le dita si confusero, riunendosi in una sola unghia e in fondo alla colonna vertebrale spuntò una gran coda.
6 Frank L. Baum, Il mago di Oz, 1900, capitolo I
7 sul tema dell’indicibilità dell’esperienza, si confronti sul finire continuo dell’infinito mio/ al limite della mia luce (p. 40) con nel ciel che più de la sua luce prende/ fu’ io, e vidi cose che ridire/ né sa né può chi di là sù discende, Paradiso, I, vv. 4-6
8 che come tale fa sia tremare che piangere, p. 74
9 Agostino d’Ippona, Le confessioni, X, 16

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