lunedì 21 marzo 2016

La scrittura della violenza e i sentimenti elementari. Un'intervista a Lucia Rodler sull'opera di Goffredo Parise a trent'anni dalla morte

Librobreve intervista #66


Goffredo Parise (Vicenza, 1929 - Treviso, 1986)
Il 31 agosto di quest'anno sarà trascorso un trentennio dalla morte di Goffredo Parise, avvenuta a 57 anni non ancora compiuti all'ospedale di Treviso, dopo una lunga serie di sofferenze cardiache e dialisi. Sono già diverse le iniziative e le pubblicazioni che si immaginano per questo anniversario. In anticipo, già lo scorso anno Adelphi aveva mandato in libreria «Se mi vede Cecchi, sono fritto». Corrispondenza e scritti 1962-1973, ovvero il carteggio con Gadda curato da Domenico Scarpa. S'annuncia anche un numero monografico della rivista "Riga", curato da Marco Belpoliti e Andrea Cortellessa. Oggi vogliamo dedicare attenzione al recente studio di Lucia Rodler, docente allo IULM di Milano. Si intitola Goffredo Parise, i sentimenti elementari e l'ha pubblicato Carocci nelle ultime settimane (pp. 224, euro 17).


LB: Come si dice ai colloqui di lavoro, "le faccio una domanda cattiva". Io vorrei partire in medias res, anzi, vorrei partire postumo, cioè dal romanzo L'odore del sangue. Quando lessi il libro lo trovai una delle opere più radicali e coraggiose di Goffredo Parise, quasi come il suo esordio (anche se per motivi ovviamente diversi). Ad un livello critico è invece questa l'opera che più ha diviso, anche in seguito al film che ne ha ricavato Mario Martone. Qual è il suo punto di vista sul dibattito che riguarda il "libro postumo"?
R: Sono contenta che mi faccia questa domanda perché ammetto di essermi avvicinata a L’odore del sangue con numerosi pregiudizi, suggeriti da una certa critica al libro e alla versione cinematografica (che non mi è piaciuta anzitutto perché altera l’equilibrio particolarissimo tra dialoghi e fantasie del romanzo). Ma subito mi ha conquistato il racconto senza censure della violenza delle parole dell’intimità (quelle di Filippo e Silvia, marito e moglie cinquantenni che si raccontano i rispettivi tradimenti) sullo sfondo della violenza sociale e politica degli anni di piombo, cioè gli anni Settanta. Perciò mi trovo del tutto d’accordo con quella critica (da Cesare Garboli ad Arturo Mazzarella) che ha parlato di un romanzo in qualche modo necessario che produce un turbamento complesso, verbale, sensuale, relazionale.


LB: Ritorno ora doverosamente al suo libro da poco edito da Carocci che è un'utile monografia su tutta l'opera dello scrittore del "Veneto barbaro di muschi e nebbie" che girò tutti i continenti. Quasi ogni lato del "poligono-Parise" è affrontato nel suo contributo. Se però domani dovesse approfondire uno di questi lati della sua attività di scrittore cosa sceglierebbe? E soprattutto, al di là dell'approccio generale, quale luce specifica ha cercato di gettare sull'opera e quali incendi ha tentato di appiccare, magari sugli aspetti più controversi?
R: Non amo appiccare incendi e preferisco cercare di comprendere la complessità di uno scrittore, senza necessariamente fare riferimento agli aspetti controversi. Perciò nel testo ho sottolineato ciò che mi ha più colpito, e cioè la ricerca costante e pertinace del nucleo di violenza nascosto dietro ogni spazio, ogni circostanza, ogni individuo, ogni popolo, ogni oggetto, ogni azione, ogni evento. E da questo punto di vista approfondirei il romanzo Il fidanzamento e la raccolta di racconti brevi contenuta nel Crematorio di Vienna. Sono due testi che concentrano in modo splendido la capacità che Parise ha dimostrato nel descrivere la violenza sia privata, familiare, sia pubblica, lavorativa.


La casa in golena del Piave, a Salgareda
LB: Il titolo del suo libro è un omaggio ai Sillabari. Rappresentano davvero il culmine della sua scrittura, a suo avviso? Esistono dei sentimenti, altrettanto elementari, coi quali andrebbero "aggiornati" i Sillabari oggi, quasi mezzo secolo più tardi?
R: Il titolo del volume non è una invenzione dell'editore o mia, ma una citazione. In almeno due circostanze infatti Goffredo Parise afferma di essersi occupato dei sentimenti elementari della vita umana. E non fa riferimento solo ai Sillabari dove, peraltro, accanto ai sentimenti, ci sono le emozioni, le sensazioni, le passioni, insomma le varie forme del divenire umano. E per questo, forse, i Sillabari sono racconti senza tempo, che commuovono e fanno pensare. Sono brevi, spesso hanno un finale inaspettato che non offre una soluzione, ma solleva dubbi e interrogativi sui rapporti umani. Da questo punto di vista rappresentano una prova eccezionale della scrittura parisiana e non vanno aggiornati perché si rinnovano ogni volta che un lettore li rilegge e prosegue dentro di sé la riflessione, ricordandone qualcuno e non qualche altro, raccontandone qualcuno e non qualche altro.


Prima edizione
LB: Spesso vediamo nei Sillabari il libro della fama e della notorietà, eppure non bisogna dimenticare che Parise fu un autore di successo già da subito. Quello che fa impressione oggi è come ricordiamo i primi titoli (Il ragazzo morto e le comete, La grande vacanza, Il prete bello). Sono davvero titoli fondamentali di un'epoca del nostro paese, naturalmente assieme ad altri titoli di altri autori. Sembra davvero un altro mondo quello. Oggi faticheremmo a citare dieci titoli che rimarranno nell'immaginario (almeno quello letterario o delle persone "che leggono") tra quelli usciti negli ultimi 15 o 20 anni. Non crede che sia cambiato qualcosa in quello che potremmo chiamare, magari volgarmente, la "filiera produttiva" del romanzo? (Non mi riferisco necessariamente all'editoria e non è questa una domanda di editoria soltanto).
R: Non sono d'accordo sul fatto che oggi non potremmo fare un elenco di autori, di romanzieri in particolare, che possano rimanere nell'immaginario. Senza dubbio molte cose sono cambiate, soprattutto nei lettori che si costruiscono un canone individuale, scegliendo testi di scrittori stranieri, italiani, migranti, leggendo opere nella lingua originale, insomma avendo a disposizione molte più opzioni di un tempo. E questa è una fortuna, a mio avviso. Significa che le biblioteche personali sono inclusive, che non esiste più l'idea di un canone unico e indiscutibile. Il problema è piuttosto che i lettori sono ancora troppo pochi, almeno in Italia.


In Vietnam
LB: Da un punto di vista stilistico, uno degli aspetti meno studiati di Goffredo Parise è forse il reportage, genere che tuttavia ha contribuito alla notorietà dello scrittore. Quali aspetti stilistici citerebbe come aspetti fondamentali introdotti dal Parise giornalista di guerra?
R: Trovo che la scelta di intervistare la gente del posto e riferirne le voci sia l'aspetto più interessante della scrittura del Parise reporter perché risponde all'esigenza di evitare i luoghi comuni, gli stereotipi, i pregiudizi che ogni individuo si fa su un popolo altro da sé. E questo riguarda il coraggioso reporter della guerra del Vietnam che unisce al diario, toccante, della sua trasferta presso l'esercito americano, una straordinaria intervista al comandante supremo delle forze americane William Childs Westmoreland che espone il suo punto di vista sul conflitto. E lo stesso metodo si ritrova anche nel reporter che racconta la Cina, il Biafra, il Laos e il Cile.

LB: Una deviazione ora: una riabilitazione o riavvicinamento a Parise potrebbe comportare, quasi come un automatismo, una parallela "riabilitazione" o un tentativo di riproposta dell'opera Giovanni Comisso, che fu a tutti gli effetti un maestro per Parise. A ben vedere però, nonostante il Meridiano, sembra che le cose per Comisso non stiano proprio così...
R: Al proposito conviene forse interrogare gli studiosi di Comisso. Mi permetto solo di dire che gli automatismi non riguardano la critica letteraria.



Il cuore di Giosetta Fioroni
LB: Questa sua ultima puntualizzazione sugli automatismi che non devono riguardare la critica letteraria è molto interessante perché mi sembra densa di conseguenze, a maggior ragione se pensiamo che certi automatismi (o certe associazioni) governano talvolta le mosse della critica, soprattutto ad un livello di "nomi", più o meno consciamente. Ma fermiamoci. Un'ultima domanda: leggere Parise, soprattutto agli albori, assomiglia al perdersi dentro un quadro di Chagall. Per chiudere le vorrei chiedere però di un'opera (quadro, foto, scultura) che per lei ha senso ricordare parlando di Parise. Faccio insomma una "domanda cattiva" anche in chiusura e non vale la "Mademoiselle Pogany" di Constantin Brâncuşi di cui la casa di Ponte di Piave dello scrittore conserva una copia in giardino. Grazie.
R: A dire il vero non c'è cattiveria nella sua domanda. Senza dubbio ricorderei un'opera di Giosetta Fioroni, la compagna di Parise che è una pittrice e un'artista che Goffredo Parise ricorda anche in uno splendido articolo del 1965 sulla Pop-art italiana, raccolto nella silloge Artisti. E sceglierei il cuore rosso rappresentato sulla copertina del primo Sillabario nell'edizione Einaudi del 1972 (foto a lato: smalto rosso con foglie piume e sassi, sempre del 1972, ndr) perché rappresenta in un modo discreto, allusivo, denso, uno dei sentimenti elementari più importanti per un autore che ha analizzato la violenza tra gli individui.

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