domenica 6 dicembre 2015

"Quando piove ho visto le rane" di Azzurra D'Agostino

Il premio Ciampi Valigie Rosse è stato assegnato quest'anno ad Azzurra D'Agostino. Tale premio, nel suo enunciarsi, mi pare onesto o quantomeno schietto, nel senso che in un panorama di premi letterari che affermano di non essere "premi alla carriera" quando di fatto lo sono eccome, è benvenuto un premio che afferma invece di esserlo, uscendo dal risibile coro con una simile, stonata dichiarazione. Molti altri premi non perdono occasione per palesare l'esatto contrario delle loro affermazioni, statuti e bandi, premiando sempre più spesso un nome (ovvero un cognome), più o meno affermato, e sempre meno l'opera. L'opera, cara opera, sia benedetta l'opera! Non sarebbe male in certi premi di poesia sottoporre alle giurie i testi in forma di "blind test", cioè "blind reading", nascondendo il nome dell'autore. Questo premio livornese, intitolato al grande cantautore, si pone quasi in modo simpaticamente sfacciato, come una sorta di premio alla carriera, mentre va a premiare chi di fatto una carriera vera e propria non la può vantare, anche per ragioni anagrafiche, ma soprattutto ontologiche, e trasformandosi quindi in una sorta di investimento e scommessa, in un attestato di stima anche o in un certo riconoscimento di carisma. (Sia detto per inciso che nulla fa più a cazzotti con la poesia che qualsiasi concetto di "carriera", e tutto ciò era ben chiaro prima dei poeti laureati che si muovono soltanto tra le piante dai nomi poco usati, mentre il "carisma" c'entra eccome con la poesia, o per meglio dire coi poeti, e allora bisognerebbe indagare il rapporto carisma-opera, se c'è.) Per questo dico che mi pare onesto, nel modo in cui si prende beffa di certi detestabili tic della Res Publica Litterarum. E se è un premio che nasce da un "pre-giudizio" non sarà questo gran problema. L'editoria interessante a me pare la terra fertile di un certo pre-giudizio e come tale si è consolidata nel Novecento. In poesia poi il pregiudizio funziona ancor più alla grande e non scrivo questo con piglio polemico. Oddio, un po' sì mi scoccia, se il pre-giudizio guarda al nome, ma anche no, se il pre-giudizio guarda finalmente all'opera. Ma non ha senso divagare troppo, altrimenti sarebbe bene anche fare qualche nome di poeta, autore in passato di libri importanti e oggi di libri assai meno interessanti, e finito ora a godere di poco salutari rendite di posizione (nei premi, nelle partecipazioni, nelle azioni di indirizzo editoriale). Non sto scrivendo di questo, ma di un peculiare libro di Azzurra D'Agostino e di ciò che questo libro, paratesti e apparati compresi, ha mosso in meBen venga la limpidezza di affermazioni come quella del premio Ciampi, almeno le premesse sono chiare a tutti e poi, per chi lo desidera, ci sono sempre l'argomentazione e il confronto, che sono sempre due belle cose, sebbene poco gettonate nell'epoca del "mi piace" compulsivo e del commento onnipotente.

Azzurra D'Agostino non è più un'emergente per chi si interessa di poesia o di eventi che riguardano la poesia, la musica e il paesaggio (ma poi, da cosa si emerge?). Il fatto è che nel caso del premio Ciampi non si tratta di premiare chi ha convinto soltanto con la propria poesia. Tale riconoscimento, comprendente oltre alla sezione di poesia italiana diretta da Paolo Maccari una sezione dedicata alla poesia straniera (altro elemento di distacco dalla pletora di altri premi), infatti "non individua, cioè, delle voci esordienti, ma certifica un timbro convincente ed una personalità rilevante, sia nell'ambito della propria produzione, sia nell'organizzazione e promozione culturale. L'intento della collana, nel tempo, è quello di tracciare una possibile mappatura della poesia italiana contemporanea, attraversando ambienti e modalità differenti, riunite nel segno di una stabile qualità." Insomma, il premio come "ente certificatore", un'affermazione quasi supponente eppure necessaria oggi, o quantomeno preferibile (anche questa) a certe affermazioni ispirate a un ecumenismo da quattro soldi oppure a un autoriconoscimento in un solco mainstream che di fatto non esiste, né dal punto di vista concettuale-estetico né da quello economico. Il poeta che premia Valigie Rosse non è allora una pop star e nemmeno un pop corn. Azzurra D'Agostino dedica al poeta la poesia di undici versi intitolata "Il poeta non è una panchina", tutta al negativo, con sole due frasi affermative, racchiuse negli ultimi due versi: "Il poeta si vede poco, sempre da distante. / Scantona dalla strada e non è rassicurante."

Queste, circa, le premesse. Ma veniamo al libro verde-rana che dal premio di quest'anno nasce. Quando piove ho visto le rane (pp. 48, euro 13, illustrazioni di Giga, tiratura in 400 copie numerate) si propone come piccolo volume dedicato anche ai bambini. E qui vi voglio. Intendo dire o, meglio, intendo chiedere: chi decide quando una poesia è per bambini e quando no? Per sua stessa costituzione e storia la poesia è forse il genere letterario più attiguo all'infanzia, serbatoio immaginifico dal quale continuamente attinge. La cosiddetta "letteratura per l'infanzia" potrebbe sganciare come un sacchetto di una mongolfiera la precisazione "per l'infanzia" e librarsi a "letteratura" e basta. Che cosa trasforma un libro in un libro anche o "solo" per i bambini di tutte le età? Forse il parlare di "perimetro delle nuvole" e di "area del cuore", come nella poesia proemiale? Non credo, tanto più che certi bambini non padroneggiano i concetti di perimetro o area di una superficie fino agli ultimi anni delle elementari. E allora che cosa fa la differenza? E che cosa rende un'opera dell'ingegno in generale un'opera per tutte le età? Non sono questioni da poco, anzi, e investono tutto il nostro modo di porci e relazionarci con certe sovrastrutture che ci portiamo dietro, per comodità, per pigrizia, per corazza. Allo stesso tempo come evitare di incappare negli errori e nei travisamenti che il dirsi "ora scrivo anche per i bambini" può portare con sé? (Mi torna in mente, ad esempio, l'insegnante delle superiori che ci invitava a leggere Il fu Mattia Pascal entro la maggiore età, altrimenti l'avremmo depotenziato leggendolo da "adulti".)

Insomma, questi ragionamenti non sono facili, sono pieni di trappole e tagliole e davvero il passo è breve per iniziare a parlare, volenti o nolenti, di sociologia della letteratura o sociologia dei consumi culturali. Bisogna vedere se ora come ora ci interessa (il libro di Azzurra D'Agostino è comunque un dito puntato anche in questa direzione e per questo sta bene accennarne e sta bene leggerlo). E prendete ad esempio lo stesso titolo del libro: "Quando piove ho visto le rane" potrebbe essere la classica frase segnata con due energici tratti rossi di penna da qualsiasi insegnante, così irrispettosa di qualsiasi costruzione temporale. Eppure la poesia è nel presente di quel "piove", non altrove:

Quando piove ho visto le rane
uscire a bere da sotto le foglie
gli alberi cambiare colore
e la terra riempirsi di cielo.
Quando piove il tempo sguazza
tra i gorghi cantando i minuti
con il plic-plic della grondaia.
Quando piove
i vetri sanno disegnare
e nessuno è solo tra le gocce.  

La poesia sopra riportata è un caso singolare, in un libro che fa ampio ricorso alla rima. Sicuramente il lessico è semplificato, essenziale: di qui passa allora quell'affermare che è una poesia per bambini di tutte le età? Forse, è già qualcosa, ma non solo. C'entra il ricorso all'onomatopea? Sicuramente quello ci ricorderà Gianni Rodari o altre filastrocche. La gran presenza di animali? Certo, anche questo è un fattore che ci spinge a pensare ai bambini e allora accogliamo gatti, rane, topini, lucciola, ape, cicale, ragni, pesci o un merlo (un bell'omaggio a Piero Ciampi, fra l'altro). Ma non basta. A me di questo libro, oltre alle poesie, interessava capire meglio il rapporto tra il suo sguardo e l'affermare/pensare di essere un libro per bambini. In questo è stato in grado di mettermi non poche difficoltà. Se un libro mi mette in difficoltà diventa quasi automaticamente interessante.

C’erano le foglie e ancora ci sono
e il vento a portarle e gli occhi a guardarle
c’era la pioggia la neve e la brina
c’era la notte e la mattina
c’era il mondo quasi tutto intero
mancava solo un pezzetto
io, che ancora non c’ero.

Questa era Prima. Mi fermo, in fondo è un libro di sole 48 pagine. Un plauso va alla nota di Paolo Maccari: non era facile scrivere una nota utile a un libro che contiene appena 14 poesie. Ci è riuscito, segno che le idee erano e sono chiare.

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