domenica 25 ottobre 2015

Poesie, prose e traduzioni di Clemente Rebora. Un'intervista ad Adele Dei, curatrice del Meridiano

Librobreve intervista #62


Ospito qui di seguito un'intervista ad Adele Dei, docente di letteratura italiana all'Università di Firenze e curatrice assieme a Paolo Maccari di Poesie, prose e traduzioni (Mondadori, pp. CXXXIII-1338, euro 80), Meridiano che finalmente restituisce alle librerie Clemente Rebora in ogni sfaccettatura della sua controversa opera. Sappiamo in realtà che Rebora non ha mai smesso di essere un termine di confronto per molti, tanto che Pasolini sancì a suo tempo questa carsica presenza con la celebre definizione di "maestro in ombra". Con l'intervista che segue, si prova a restituire almeno parte delle antinomie che attraversano questa fondamentale figura del Novecento letterario italiano. Per un discorso davvero approfondito, il rinvio è a Sul filo della spada, ovvero l'introduzione che Adele Dei ha scritto per quest'opera.

LB: Quando si inizia a profilare l'idea di un Meridiano dedicato a Rebora e quali sono le prime direttrici su cui si indirizza la discussione sulla curatela e sulla costituzione dell'opera, nella quale prende parte attiva anche Paolo Maccari?
R: 
Il problema preliminare è stato quello di come organizzare e costruire il libro, ripensarlo completamente mettendo in discussione i criteri e la stessa consistenza dell’edizione Garzanti delle Poesie, che mi sembrava per molti aspetti insoddisfacente. L’idea di accludere tutte le prose pubblicate fino al 1930 e le traduzioni è venuta in un secondo tempo, per rendere il volume più completo e utile. Ne ho parlato più volte con Paolo Maccari e, alla fine, con Renata Colorni ed Elisabetta Risari della Direzione Classici di Mondadori.  

LB: La sua prefazione si apre giustamente con un monito a fare attenzione alle tante mitizzazioni cui Rebora è stato sottoposto e con un chiaro invito a fare attenzione alle antinomie molteplici della sua opera. Potrebbe da un lato sintetizzare le principali mitizzazioni (la sua "incrostazione" critica, diciamo) e dall'altro i principali nuclei di contraddizioni di questo poeta?
R: Rebora è da tempo imprigionato in una visione prevalentemente agiografica ed apologetica, volta a farne un esempio monolitico di carità e di spiritualità, se non addirittura di santità. Molti degli scritti di critici e biografi (con le dovute evidenti eccezioni) puntano a questa interpretazione, spesso nella totale noncuranza di qualunque cautela filologica e in assenza di qualunque vera ricerca. Ne risulta un appiattimento che non rende giustizia al poeta e all’intellettuale che Rebora è  stato – a cui invece è dedicato il Meridiano - né alle varie, tormentate fasi della sua vita. Il discorso sulle antinomie e sulle contraddizioni sarebbe molto lungo e complesso e non riesco a riassumerlo in poche parole. Accennerei soltanto al perenne conflitto fra singolare e plurale (fra l’io e il noi) che anima tutta la sua poesia, conducendo infine alle scelte irreversibili della conversione e del sacerdozio, o al conflitto fra corpo e spirito, risolto talvolta con slanci quasi autopunitivi. Ma una sorta di complesso manicheismo è onnipresente fino agli anni ’30 in tutti i suoi scritti, lettere comprese.    


LB: In quel libro straordinario di recensioni che è Plausi e botte Giovanni Boine sancisce in qualche modo la "fortuna" dei Frammenti lirici con la celebre chiusa ("GRANDE"). In realtà si trattò di un bel ripensamento! Libro emblematicamente collocato un anno prima della catastrofe della guerra che condusse Rebora nei territori attigui alla pazzia, opera a dir poco complessa eppure presenza costante, Frammenti lirici rappresenta una sorta di enigma vitale della nostra poesia. Da studiosa di letteratura, qual è la sua personale visione dell'attraversata di secolo compiuta da questo libro, che fra l'altro fu dedicato ai primi anni del secolo scorso?
R: Proprio la difficoltà dei Frammenti lirici ne ha da un lato limitato la diffusione e quindi l’influenza, ma dall’altro si è rivelata una sfida, e ha attirato lettori di grande sensibilità poetica che ne hanno tratto notevole frutto. Credo che abbiano ragione sia Pasolini, che riconosceva in Rebora una presenza sotterranea ma viva (un maestro in ombra), sia Caproni, che indicava nella sua poesia  una possibile strada non percorsa, un’occasione mancata (un rimorso) per il novecento italiano. Ed entrambi pensavano soprattutto ai Frammenti lirici, così ancorati storicamente, come dimostra la loro famosa dedica, e insieme così intempestivi, così spiazzanti già allora, forse respingenti. Un libro anomalo e unico, che guarda insieme indietro e avanti, che richiede ancora oggi a chi lo avvicina un impegno e un’applicazione che non tutti si sentono di offrire.     


LB: Tra i vari saggi di Rebora ripresi da questo Meridiano qual è a suo avviso il più innovativo nell'impostazione e quale il più ingiustamente negletto dalla nostra storia letteraria?
R: 
Uno dei più impegnativi e significativi – quasi del tutto trascurato fino a tempi recenti - è sicuramente quello giovanile su Leopardi e la musica (Per un Leopardi mal noto), derivante da una tesina che Rebora aveva preparato prima della laurea. Oltre ad osservazioni di notevole rilievo su un tema allora pressoché ignoto, contiene moltissimi spunti utili per l’interpretazione di Rebora stesso, che era anche un appassionato di musica,  e componeva improvvisando al piano, a lungo oscillante fra la strada della musica e quella della poesia.

Leonid Nikolaevič Andreev
LB: Mi pare si parli poco del Rebora traduttore. L'opera appena uscita per Mondadori invece dedica ampio spazio alle traduzioni di Rebora. Potrebbe illustrarci il rapporto e le tappe principali del capitolo "Rebora traduttore" confluito nel Meridiano?
R: 
Le traduzioni di Rebora appartengono ad un periodo abbastanza ristretto ma cruciale, dal 1916 al 1922, e si intersecano continuamente con la parallela attività di scrittura poetica. Quella dei racconti di Andreev, oltre ad essere davvero notevole, è imprescindibile per la comprensione delle contemporanee poesie e prose del 1916-1917. E ancor più Il cappotto di Gogol e la lunga novella di ispirazione indiana Gianardana, corredate dagli impegnativi commenti del traduttore, costituiscono un vero e proprio trittico con la plaquette di poesie reboriane Canti anonimi, uscita nel 1922.

LB: A lungo lei si è occupata di un altro fondamentale poeta del Novecento: Giorgio Caproni. Su quali linee articolerebbe un discorso che vada a toccare le convergenze tra queste due importanti voci della poesia italiana?
R: 
Si potrebbe senza dubbio impostare un discorso proprio sul principio di contraddizione, o almeno sulle dicotomie che, sia pure diversamente, sono alla base delle loro poesie. Sul piano del linguaggio noterei la compresenza di spunti filosofici e meditativi, per non dire metafisici, con la concretezza degli oggetti, con una evidente e perfino ‘bassa’ fisicità. Ma anche qui bisognerebbe distinguere e approfondire assai meglio di come sia possibile in poche righe. 

LB: Come spesso faccio giunto alla fine di un'intervista, le chiedo di scegliere una poesia di Rebora come congedo. Grazie.
R: 
Sceglierei una straordinaria poesia scritta nel 1914, con la guerra incombente, Notte a bandoliera.

NOTTE A BANDOLIERA


Alghe di tènebra
sull’umida terra
in romba di piena;
scaglie di vetro
dal ràpido cielo
che stelle nel vento
librato riassorbe;
gesto falcato di forme
uscite a capirsi nell’ombre;
fissa follia dell’aria
su nero abbaglio di lampo;
sordo scavare tenace
in eco di màdida pace:
– Balzerà, chi ci spia,
a schiacciar la lumaca
che invischia molliccia la via? –

Per la nerezza sinuosa
prèmono tìnnuli urti,
s’incàrnano stocchi di gelo,
scuri di brìvidi rìgano: –
 Scatterà, l’insidia feroce,
a scovarci nel sangue la vita
che doviziosa s’incrosta
e imbarbarita zampilla?  

Voci osannanti in soffio di sibilla,
e frenesia di muscoli ondanti
per la cupezza emanata;
ossessïone d’attesa,
truce allegria sospesa,
fischi strisciati in domanda,
drappello che annusa
frusciando carponi
in una ràffica chiusa,
chiostra di denti a lame di luce,
intenti occhi a dorso di coltello…
– È giunta la razza assassina!
Son giunti i violenti e gli eroi
che svelan momenti
dell’impossibile eterno:
i buoni di prima,
e i buoni di poi. –


Marzo, 1914

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