domenica 17 maggio 2015

"Dialogo con la morte" di Arthur Koestler

 Riletture di classici o quasi classici (dentro o fuori catalogo) #26

Le prime pagine di Dialogo con la morte di Arthur Koestler (il Mulino, pp. 248, euro 15,49, nella traduzione di Camillo Pellizzi, ancora disponibile) narrano dell'arrivo in Spagna, a Barcellona, e dello spostamento verso Malaga. Siamo all'inizio del 1937. Circa un anno prima, a febbraio, c'era stata la vittoria del Frente Popular e in estate era iniziata quella lunga, sterminata guerra civile che, una volta conclusa, lasciò posto a una della dittature più lunghe del Novecento. Proprio questa detta durata ha impedito per decenni un'efficace lettura e studio di quel conflitto. Nelle prime pagine le città appaiono già stremate e Koestler non tarda a individuare i punti deboli dei miliziani, il loro scoordinamento, finanche l'ingenuità tattica in alcuni avamposti sul terreno. Il testo fu originariamente pubblicato nel 1937 come seconda parte dello Spanish Testament e s'assomma alle grandi testimonianze su quella guerra che fu davvero fratricida, con divisioni tragiche anche tra persone vicinissime (paradigmatico, anche se mitigato, fu il caso dei fratelli Machado, con Manuel a sostegno degli insorti e Antonio dalla parte dei repubblicani). Il portare a casa la pelle in Spagna fu spesso imputabile a fatti del tutto casuali e fortuiti e Koestler non è da meno. Avanzando nella lettura notiamo che le pagine cambiano presto di segno per diventare un libro intimo, ripensamento di un'esperienza carceraria ancor vivida nella memoria. Ed è un libro che va a far coppia con un altro suo, sempre incentrato su una esperienza di prigionia, in Francia, quello Scum of the Earth che fu un'altra grande testimonianza sul biennio 1939-40, tra il campo di prigionia del Vernet e il vagabondaggio nella Francia della disfatta. (Un inciso di natura linguistica che è bene fare parlando di questo libro: Koestler, in linea generale, scrive spesso in tedesco prima del 1940 e in inglese dopo quell'anno, tuttavia questo Dialogo fa eccezione ed è stato scritto in inglese per depistare la censura tedesca.)

Sono le pagine di una persona imprigionata che non sa se sarà giustiziata e che inizia a percepire, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, attraverso spostamenti tra più carceri, la singolare situazione di prigioniero risparmiato dagli ingranaggi di una macchina di morte che appare potentissima e allucinante. E qui si apra ora una corta parentesi: della Spagna, neutrale in entrambe le guerre mondiali, si è spesso detto che fu il "banco di prova" o "preludio" della Seconda guerra mondiale. In effetti fu così, e basti pensare alla presenza in Spagna di tutte le altre potenze europee che pure erano occupate in giochi politico-diplomatici ancora aperti, all'operato di Italia e Germania che contribuirono più di altre nazioni all'internazionalizzazione di quella guerra, a quel che fecero gli artisti (pensiamo solo ai poeti, ad esempio, da García Lorca a Neruda, o all'Auden di Spain) e soprattutto agli attivissimi intellettuali, i quali tuttavia sopravvalutano il proprio ruolo in situazioni di guerra. Ripensando al successo repubblicano del 1931 non è esagerato definirlo il successo di un ceto intellettuale che, attrezzatissimo, dal 1898 e per un trentennio pieno, reinserì l'arretrata Spagna in un circuito europeo, traendo vantaggio dalla neutralità nella Prima guerra mondiale. Ma fu anche una guerra civile tra le più atroci che si ricordino, a scatole cinesi, con tutte le complicanze che questo comporta rispetto a una guerra che non è definita anche "civile". Le cifre sulle vittime di questo conflitto intestino sono ancora controverse ma, se i numeri che si leggono verranno un giorno confermati, potremo solo provare a cogliere la sproporzione tra le dimensioni circoscritte della guerra e le dimensioni gigantesche del numero di morti. Koestler vede la morte arrivare ogni notte più o meno alla stessa ora, l'ora delle esecuzioni capitali. Escogita degli stratagemmi per dormire in quel lasso di tempo, una sorta di tortura del sonno che gli consente però di sopravvivere e non sentire gli strazi dei condannati vicini di cella. In prigione conosce nuovi compagni, osserva le ore d'aria di altri prigionieri, digiuna, legge quel che passa il bibliotecario, gli arrivano attutiti echi della mattanza che infuria fuori, riflette sulla Spagna e soprattutto su quel che gli è capitato di vivere poco prima della cattura, ingaggia insomma un dialogo serrato in una sottilissima membrana che lo tiene in vita stremato. 

Questo memoir è uno dei grandi libri dell'intellettuale-giornalista di origini ungheresi, da leggere assieme agli altri suoi e da mettere in coppia con quell'Omaggio alla Catalogna di George Orwell o con La veglia a Benicarló di Manuel Azaña che sono senza dubbio altri fondamentali opere sull'autocombustione lenta che permise, con qualche anno di anticipo su quello più noto, un altro olocausto novecentesco. Schiacciata com'è tra due conflitti per cui si usò l'aggettivo "mondiale", l'escalation di terrore, vendette e ritorsioni che si consuma nella penisola iberica in un triennio - e che tuttavia parte ben prima del '36, già nel '31 con la cacciata dell'ultimo re borbonico Alfonso XIII e con l'insediamento della Repubblica - potrebbe persino divenire un vero banco di prova e anche un punto di vera partenza per rileggere la posizione della Chiesa in Europa nella prima metà del Novecento: è una storia che non può che interessare moltissimo tutti quanti.

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