venerdì 12 settembre 2014

Cinque meditazioni sulla morte ovvero sulla vita di François Cheng

©overtures #6

Un nuovo libro di François Cheng è uscito per Bollati Boringhieri quest'anno. Si intitola Cinque meditazioni sulla morte ovvero sulla vita (pp. 128, euro 15, traduzione di Chiara Tarantini) e prosegue una sorta di serie del "cinque", visto era già uscito qualche anno fa, per lo stesso editore, il libro intitolato Cinque meditazioni sulla bellezza, tema tra l'altro non disgiunto dalla morte per Cheng. L'autore, un saggista-poeta e calligrafo-traduttore assai noto in Francia, non è infatti così distante dal sentire morte e bellezza come un foglio con due lati, dove poter scrivere, fronte e retro, e dove poter guardare in controluce la scrittura specchiata dell'altro lato, magari sovrapponendo i tratti più marcati con quelli più sbiaditi.

Veniamo alla nostra copertina, visto che è soprattutto di quella che vorrei scrivere oggi. Quel che recita l'antica massima cinese calligrafata da Cheng è: "la vita genera la vita senza fine". La vita è più forte di tutto, anche dell'amore e delle passioni e non si pone in contrasto con il suo termine contrario, la morte. Lo sappiamo, no? Ma non possiamo forse sfuggire all'attrazione che oggi più che mai possono esercitare la grafia e la calligrafia, e non certo per il nostalgico rinverdirsi di certe preoccupazioni attorno alle capacità che, a detta di molti angosciati, stiamo forse perdendo con l'avvento della scrittura digitale (chissà se sono solo preoccupazioni che guardano nella direzione sbagliata queste). La grafia può stare alla scrittura come l'interpretazione musicale sta allo spartito. Per molti versi la grafia è una magnifica traduzione della vita biologica, e volutamente dico grafia e non calligrafia. La copertina del nostro libro, con il titolo principale dedicato alla morte e il sottotitolo introdotto dalla congiunzione disgiuntiva "ovvero" dedicato alla vita, sembra quasi saldare un circolo tra grafia e vita e quindi anche con la morte. (Che effetto vi fa rivedere la grafia di persone che avete conosciuto e che sono morte? Forse lo stesso di una fotografia? Per me è profondamente diverso.). Il traduttore cinese di Apollinaire, Baudelaire, Char, Michaux e Rimbaud qui raduna il pensiero delle sue meditazioni in una strana veste di sogno della materia, quello della scrittura e della grafia. E alla fine, tutto sommato, sembrano tempi "favorevoli alla morte", almeno per quella dei filosofi o affini, e non soltanto perché Steve Jobs, un imprenditore da troppi scambiato per filosofo, ha dichiarato che la morte ha l'aria di essere la migliore invenzione della vita ("Death is very likely the single best invention of life"). Se volete meditare sulla morte e sulla vita, Cheng vi aspetta.

1 commento:

  1. La grafia di chi non c'è più o di chi è altrove è una compagnia tenera e abissale, come una bestiola che ti salta al collo dal foglio.

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