sabato 27 luglio 2013

Per i sei libri finalisti del Premio Castello di Villalta Poesia

Il testo che segue è stato pubblicato sul sito del premio di poesia "Castello di Villalta". Il 28 luglio si tiene nella cornice del castello la presentazione dei tre finalisti (questo il programma della giornata). Sono Stefano Dal Bianco con Prove di libertà (Mondadori), Enrico Testa con Ablativo (Einaudi) e Franca Mancinelli con Pasta madre (Aragno). Sono tre libri dei quali, tra l'altro, ho già scritto su queste pagine. La rosa di tre finalisti è nata a partire da una rosa di sei che prevedeva anche i libri I padri di Giulia Rusconi (Ladolfi), Città alla fine del mondo di Tiziano Broggiato (Jaca Book) e Quando avrò tempo di Anna Maria Carpi (Transeuropa). Il sito internet del premio si trova a questo indirizzo e ospita molti interventi e recensioni (costituisce uno dei più vivaci esempi di blog-sito internet dedicato a un premio di poesia). Quattro libri su sei hanno già trovato spazio su queste pagine dedicate ai libri brevi. E pure gli altri due meritano attenzione. Anzi... uno dei due libri che non recensito è... no, non vi anticipo nulla.

Mi è stato chiesto un commento sui sei finalisti del Premio di poesia “Castello di Villalta”. Ringrazio la giuria per fidarsi del parere di uno che talvolta scrive come un ubriacone. E non è sempre vero che in vino veritas
Faccio allora un esperimento mentale e mi immagino un appassionato lettore di poesia che tra duecentosettantatre anni si troverà a frugare negli archivi del premio (o del castello) per capire cosa si scriveva e cosa veniva premiato attorno all’anno 2013 in una certa area d’Italia. Credo che questo curioso, che per comodità chiameremo il signor Castello, ne ricaverebbe uno spaccato abbastanza significativo, uno spaccato utile per ripartire con altre ricerche; troverebbe insomma sei buoni (se non ottimi) libri. Evidenzio la parola “libri” perché tornerà utile alla fine di questo intervento. Dico questo perché sono convinto – e lo evidenzio già nelle prime battute - che alla fine i sei titoli usciti dalla giuria rappresentino una valida rosa per incominciare a parlare della scrittura poetica in lingua italiana in quel frangente di tempo previsto dal regolamento del premio. Insomma, sono anche ottimi pre-testi. Poi, si sa, è probabile che il miglior libro della stagione sia rimasto fuori perché banalmente pubblicato un mese prima o un mese dopo i termini previsti dal regolamento. La domanda che noi potremmo farci suona circa così: quali di queste forme racchiuse in questi sei libri risplenderà ancora tra duecentosettantatre anni? Quali temi faranno vibrare i nervi nel signor Castello? La risposta è ovviamente sconosciuta ed è meglio così.
Ma torniamo al signor Castello. Potrebbe accadere che il nostro signor Castello osservi i primi esiti della giuria incrociando una misteriosa, ricorrente ed esoterica espressione che ha intercettato sui giornali del tempo: “quote rosa”. (Il nostro signor Castello ha ancora l’inspiegabile vizio della ricerca in archivi/ripostigli del passato e in questo è un tipo solitario.) E poniamo che si interroghi sulla casualità/intenzionalità della presenza di 3 voci maschili e 3 voci femminili. Stacco e ritorno in me. Io mi auguro che questa parità sia casuale (e ne sono in fondo abbastanza certo), anche perché voglio sperare che alla prossima edizione del premio, se opportuno, ci saranno sei voci femminili in finale e a quella successiva, se opportuno, 5 voci maschili e una soltanto femminile. Insomma, giocate come volete coi numeri, basta che la somma dia sempre 6 e basta che non cambi il regolamento. Un premio è un gioco con una giuria, come una gara di ginnastica o tuffi, e il bello è anche questo. A volte vince il gesto (libro) migliore, non il migliore poeta. A volte neanche quello. In fondo un certo spirito agonistico non è mai mancato alla storia delle poesie. Ma se gara c’è, qui non si separa la competizione per genere, uomini e donne competono assieme. L’agonismo rimane, a maggior ragione in un ambiente distratto dove si sgomita (e per giunta, talvolta, dopato) come quello della poesia e della sua lettura/circolazione.
In poesia, ho sempre dato qualche chance in più all’anagrafe dell’età rispetto a quella del genere (su binari simili mi pare scorra la ratio sottostante all’inedita composizione della giuria del premio, con componenti senior e junior). Distinguere, fino a farne quasi un baluardo critico, tra poesia maschile o femminile ha per me quasi lo stesso valore della distinzione tra la poesia di poeti biondi e mori. Parlatemi piuttosto di poeti pronatori e poeti supinatori, ditemi come appoggiano il piede e quali parte della suola delle scarpe consumano per prima. Esiste la poesia, quando e dove esiste. Stop. Il dato biografico e di genere ha valore fino a un certo punto. Ci interessano le opere.
Mi è stato chiesto di essere breve e allora concluderò il mio intervento con qualche frase legata a ciascuno di questi libri, alle opere appunto. Di quasi tutti questi titoli ho già parlato sin troppo diffusamente nel blog Librobreve. Provo a farlo però con le parole/appunti del signor Castello nell’anno 2286. Ecco le sue brevissime schede di lettura:

Ablativo: “Ora vivo all’ablativo” scrive l’autore. Ed è un pensiero molto intrigante, anche oggi che la lingua latina è in pieno “revival”. Che cosa significa “vivere all’ablativo”? La risposta pare contenuta in queste poesie lessicalmente lontane dagli altri cinque autori del “gruppo”.
Città alla fine del mondo: Questo partecipante e finalista ha scritto un libro dal titolo curioso. Parla di Parigi, Milano, Londra, o di cime dell’Alto-Adige ma forse i suoi testi più memorabili sono quelli dove scrive di sale d’aspetto e camere d’albergo. Strano quel suo riferirsi a un certo Celan (Paul Antschel), poeta che deve essere stato un tempo molto noto e apprezzato e di cui da un po’ di tempo mi pare si parli un po’ meno…
I padri: quest’autrice, la più giovane del sestetto, parla di tantissimi padri e pochissime madri. Suppongo che all’epoca sarà parso un ragionamento abbastanza controcorrente. Non lo so, è una sensazione. Ma oggi sento regolarmente tante persone enumerare serenamente “tanti padri e tante madri” (come nella canzone La comune di Giorgio Gaber, colonna sonora di un recente spot di vacanze). La prefatrice, che è nella rosa dei sei finalisti, parla di epoca transgender. Credo ci avessero visto e sentito bene entrambe. Un libro di una sicurezza abbagliante. Ho amato però tanti poeti insicuri, impauriti e tentennanti.
Pasta madre: è interessante questo libro dove certi fermo-immagine della poesia dell’Ottocento e Novecento diventano fermo-immagine meno lirici, meno “congelati”, più con il senso di un’immagine mossa. Il prefatore, Milo De Angelis, poeta di cui regolarmente leggiamo ancora testi nelle antologie, dev’esser stato una lettura decisiva per Franca Mancinelli. Si dà in queste pagine un senso di inevitabile pressione della vita, come se contenuto e forma avessero trovato, per qualche rapido istante, un loro accordo. Per parafrasare un poeta quasi coevo che amiamo molto oggi, Clemente Rèbora, qui si ha la sensazione di una cosa detta “ove l’uomo e la vita si intendono ancora”, anche se non senza dolore.
Prove di libertà: gran bel libro, il mio preferito. Si legge molto bene ed è un libro che si accompagna bene dal principio alla fine (caratteristica che forse manca ad altri volumi). Deve esser nato dopo carotaggi e ragionamenti linguistici e metrici. Anima curiosa questo Dal Bianco, mi sarebbe piaciuto conoscerlo.
Quando avrò tempo: mi ha mosso subito il titolo di questo libro del febbraio 2013, la persona nata prima in questo gruppo di poeti (nel 1939). Questo è il libro che probabilmente restituisce più vita tra tutti quelli letti ed è stata una lettura significativa per questo. Si legge benissimo anche oggi, anche se è profondamente diverso dal libro di Dal Bianco. Questo è un libro che ti lascia il desiderio di andare a leggere tutto il resto pubblicato dall’autrice.

Se siete giunti sino a qui significa che siete stati pazienti verso l’espediente del signor Castello, un signore allampanato, sudato e col diabete mellito. Chiedo scusa per l’esperimento mentale, soprattutto al signor Castello, abitante del mondo nel 2286, per la presunzione di scrivere pensando con la sua testa. Forse avrei dovuto fare un esperimento mentale proiettandomi in un abitante della Corea del Nord di oggi? Chissà. Chiudo con me, e non posso/non potevo fare diversamente. Se fossi da solo in giuria e dovessi scegliere in questo sestetto di finalisti ricorrerei (vilmente?) all’espediente dell’ex-aequo tra le due giovani autrici Rusconi e Mancinelli. Farei questa scelta nell’ottica di isolare un libro particolarmente significativo di una stagione breve, concentrata nel tempo, un libro forse incompleto ma luminoso, un fiore sbocciato all’improvviso o una supernova. Un volo di farfalla. Premierei l’effetto sorpresa, dunque. La promessa. E questo non significa che ritengo I padri o Pasta madre superiori a Prove di libertà o Ablativo. Se però l’ex-aequo non fosse contemplato dal regolamento della giuria (e sotto sotto so che me lo augurerei), farei un’operazione leggermente forzata e premierei nel libro di Anna Maria Carpi, Quando avrò tempo, tutti i libri che questa grande autrice ci ha regalato sino a qui, pieni di cose importanti, a partire dal meraviglioso A morte Talleyrand uscito vent’anni fa (libro splendido al quale si torna di rado, purtroppo). Lo so che probabilmente, così facendo, traviserei il senso del premio che è quello di premiare un libro, e so anche che la mia scelta assomiglierebbe da vicino al classico “premio alla carriera”. Ma non di premio alla carriera si tratterebbe, bensì di un semplice premio ai libri attraverso un libro: per come la vedo io (e anche per come la vede il signor Castello) non esistono carriere in poesia.

(Solo un appunto per la giuria, nella fase preparatoria del premio: non guasterebbe un’attenzione maggiore per quel che avviene nella cosiddetta “Svizzera italiana”, a meno che lo statuto non lo vieti.)

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