sabato 13 aprile 2013

Ritorna "Illazioni su una sciabola" di Claudio Magris

Riletture di classici o quasi classici (dentro o fuori catalogo) #14



Tante sono le vite di un libro, breve come questo Illazioni su una sciabola di Claudio Magris (Garzanti, pp. 80, euro 9,90) riproposto nella collana Garzanti Novecento. Se ci soffermiamo sulla pagina a sinistra, accanto al frontespizio, possiamo scoprire che questo libriccino è uscito prima nella "Rivista Milanese di Economia", poi a puntate ne "Il Piccolo", negli "Anelli" di Laterza, nella collezione "Filo di perle" delle mitiche edizioni Studio Tesi di Pordenone per poi approdare in Garzanti in varie collane, fino alla recente "tuta blu" di questa collana nella quale è uscito lo scorso mese di marzo.

Il fatto narrato è noto ma spesso ignorato: l'inganno tedesco ai danni dei cosacchi, aggirati e illusi di poter costruire nella regione montana della Carnia un loro stato alla fine della Seconda guerra mondiale, la cosiddetta "Kosakenland". Fatto noto, eppure marginale, come molti di quelli che accadono nelle aree di confine, nelle membrane geografiche delle guerre e delle mappe solcate dalle guerre, in quei fragilissimi cunei che si formano a ridosso della "pace". Il libro, che in quest'edizione ha la sola pecca di qualche refuso di troppo, è un altro grande contributo dello scrittore triestino al racconto del Novecento ed è esempio mirabile di quel tipo di opere che fondono con grazia quasi irripetibile ricerca storica e capacità narrative. Magris, in fondo, è anche questo e non serve nemmeno ribadirlo. E qui, fatto non trascurabile, riesce persino a fondere queste difficili arti in un libro esile e breve, che nulla toglie alla complessità della storia, ma che al contrario la esalta, rispettandola così maggiormente. Spesso invece questo tipo di tentativi di incrocio di narrativa e ricerca storica si dilungano in tomi ponderosi. Anche questo è un valido motivo per avvicinare Illazioni su una sciabola, se già non l'avete fatto in una delle molte e citate precedenti edizioni.

I misfatti e le efferatezze di cui furono protagonisti e anche vittime i cosacchi scesi dall'Austria nell'autunno del 1944, diretti in quella "terra promessa"in cui avrebbe inverosimilmente dovuto trasformarsi la regione carnica, sono parte della ricostruzione sghemba e originale che ne fece Magris, ponendo fine a un silenzio e un disinteresse generale sulla vicenda che durava da troppo. Lo scrittore dei Microcosmi ricorre alla forma della lettera scritta da un sacerdote ormai anziano, un "pensionato dello spirito" come si definisce, in missione in quei luoghi tra l'ottobre e novembre del 1944, con il compito proibitivo di sfruttare il proprio plurilinguismo per esercitare un certo controllo sulla situazione esplosiva dell'occupazione. Quest'espediente narrativo è ricco di (e in) prospettiva.

Il titolo recita "illazioni", mentre la "sciabola" è un dettaglio importante del racconto. Perché illazioni? Perché ciò che leggiamo sono dei ragionamenti dai quali il protagonista trae una conseguenza da una o più premesse che possono essere anche false. La ricerca di verità dello storico (e anche dell'autore di fiction?) è minata da questo incedere, da ragionamenti che possono trasformarsi in illazioni. Chi legge Magris sa bene come sia chiaro quest'assunto in tutta la sua prosa, da quella dei romanzi a quella giornalistica e d'occasione (non meno significativa, a mio avviso). La sciabola (l'elsa soltanto, per la precisione) è quella che riemerge al cimitero di Villa Santina, nel 1957, durante un'operazione di riesumazione. Se sia effettivamente appartenuta al comandante cosacco Krasnov non è dato a sapersi in quanto nient'affatto univoca è la versione sulla sua morte e tantomeno la data di questa. La sua figura è in sostanza sospesa nelle nebbie del mito.

Verso la fine leggiamo: “Quell’elsa affiorata fra le zolle mi fa pensare a quel tronco, che ora sarà ancor più cancellato, ma non ancora del tutto, mi fa pensare alla brevità ma anche alla durata della nostra vita e mi sembra conciliare il grande sì che diciamo al nostro tramonto, accettandolo serenamente, con la piccola resistenza che giustamente gli opponiamo, anche quando crediamo, come credo io, di essere sazi e stanchi di vita, perché anche un pomeriggio in più al caffè San Marco è poca cosa rispetto all’eternità ma è pur sempre qualcosa e forse non tanto poco”. Questo piccolo grande libro unisce ricerca storica e narrazione, passione per i fatti apparentemente marginali e la cosiddetta grande storia. E i cosacchi dove finirono? Furono come detto ingannati dai tedeschi e coll'avanzare dell'Armata Rossa divenne a loro chiaro che la fuga rimaneva l'unica soluzione. Cercarono pertanto riparo in Austria (da dov'erano prima scesi al fianco dei tedeschi) e lì si diedero agli inglesi, i quali, secondo le istruzioni di Yalta, li consegnarono al loro incubo, i sovietici. Molti cosacchi, per evitare questo, preferirono suicidarsi nella Drava, altri invece morirono dopo aver varcato il confine sovietico. Cosacco: dal polacco kozac, dal turco qazac, "vagabondo", recita il dizionario etimologico quasi ad accompagnare quest'altra tragedia della storia, intesa sia come tempo trascorso e come sua narrazione tra illazioni, verità, menzogna, il suo "non finire mai", le sue "prosecuzioni" (a tal proposito, resta il P.S. di Magris in fondo al libro).

1 commento:

  1. Libro breve ma ricco di livelli. Bello. Ricordo quando lo lessi

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