lunedì 4 febbraio 2013

“Zebio Còtal” di Guido Cavani

Riletture di classici o quasi classici (dentro o fuori catalogo) #13
Ripescaggi #19












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Ripesco dal cilindro (che per me è un parallelepipedo di 500 gigabyte) una recensione che scrissi per la rivista daemon diversi anni fa. Anche allora ci divertivamo a scovare testi inspiegabilmente finiti fuori catalogo. “Inspiegabilmente” per il valore, almeno ai nostri occhi, anche se le ragioni che spingono un testo fuori catalogo sono spesso così banalmente semplici: non vende (o, peggio ancora, si presume non possa vendere!). La cosa bella e curiosa è che qualche anno dopo il libro di Cavani fu riproposto da Isbn Edizioni nella collana Novecento Italiano a cura di Guido Davico Bonino.
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Forse è il caso di dire che certi libri vanno e vengono. E forse è anche inutile cercare di capire perché un testo non si possa trovare con continuità in libreria. Anche perché è "fisiologico" (leggi anche: "è bene") che certi testi spariscano dalla circolazione per qualche tempo. La sorte di questo romanzo di Guido Cavani appare però singolare. Collocato nella "Biblioteca di letteratura" di Feltrinelli diretta da Giorgio Bassani (con i vari Arbasino, Buttitta, Cancogni, Delfini, Fortini, Meneghello, Testori, Tomasi di Lampedusa ecc.) solamente nell'anno 1961 questo testo ebbe tre edizioni. Pier Paolo Pasolini, in sede prefatoria, concludeva: "[...] sono pronto a scommettere che figure come quella di Zebio, della vecchia moglie, della figlia, del bambino che muore e certe primavere, certe nevicate dell'Appennino, sono tra le cose più solide e durature della narrativa contemporanea (da porre forse accanto a quelle dei due "outsiders", Silvio D'Arzo e il Lampedusa)." Ora, è vero che il Lampedusa ha sempre tenuto alta l'attenzione del pubblico e che D'Arzo è protagonista di un recente revival editoriale che vede più sigle impegnate. Per quanto riguarda Cavani, Pasolini non aveva colto, editorialmente parlando, nel segno: Cavani è una presenza discontinua (se non addirittura un’assenza) del mercato.

Ma allora perché riproporre un avvicinamento al testo di Cavani? Innanzitutto perché Pasolini aveva comunque ragione, artisticamente parlando: la descrizione dei paesaggi degli Appennini modenesi e la loro "interazione" con l'anima dei personaggi, ad esempio, vale più del tempo della lettura. E poi perché l'autore sa riprendere con crudezza, dolcezza e pudore la vita dei propri protagonisti. Già dall'elenco di personaggi riportato nel passo di Pasolini si intuisce come la storia di Zebio Còtal si possa avvicinare ai lavori di Verga (la mente va a I Malavoglia). In sintesi: il libro narra le disperse vicende della numerosa famiglia Còtal, presa nella morsa della miseria materiale e della miseria morale del capofamiglia (Zebio, per l'appunto). I movimenti avvengono tra le zone di Pazzano, Maranello e altri luoghi dell'Appennino tosco-emiliano.

Non sappiamo l'effetto suscitato da questo aspro romanzo d'ascendenza verghiana nell'Italia già avviata al boom. E non sappiamo nemmeno il perché dell'attenzione scostante per quest'opera e quest'autore (se oggi l'interesse di un autore si "misura" anche in Internet, nel caso di Cavani siamo fritti). Fatto sta che, al di là del plot che non suonerà come la parte innovativa dell'opera, questo libro di Cavani stupisce per come affronta i paesaggi (ma è forse il Novecento il secolo dove il paesaggio ha trovato la sua più sicura, fortunata e prolifica collocazione?). E inoltre colpisce l'irrimediabilità dei personaggi che popolano questo romanzo rustico, definito anche "variante odierna del poema pastorale" (sempre Pasolini). Si tratta di un'irrimediabilità che non si tramuta, come si potrebbe credere, in fissità. Il capolavoro, in tal senso, è proprio il personaggio di Zebio, tutt’altro che univoco.

Infine, se in Verga s'era parlato di "regressione del narratore" (Baldi), qui, in Cavani, in Zebio Còtal, se "regressione" c'è, questa rilascia una lingua più pura di quella di Verga. Sotto certi aspetti Verga, sempre alla ricerca di impersonalità, distacco, non-giudizio, riesce a creare per i propri lettori, quasi per contrasto, una lingua permeata di uno strano cosmopolitismo (Verga aveva girato molto, se non altro in Italia ed era preparato da più punti di vista teorici). Cavani, anche e soprattutto in fatto di lingua, appare invece ascrivibile a quella peculiare e interessantissima schiera di autori definiti "provinciali". Per concludere, ancora con le penetranti frasi di Pasolini, "la sua lingua ha nel tempo stesso qualcosa di scialbamente provinciale e qualcosa di prodigiosamente extra-temporale. È un fatto […] per definizione italiano [...]. In provincia di Modena un uomo colto è con un piede nella melma piccolo-borghese e con l'altro nei regni della morte. È così divaricato che pare vivere il Cavani." Frasi, queste di Pasolini, valide anche per Antonio Delfini, un altro modenese per eccellenza?

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