lunedì 3 dicembre 2012

Le "Sei Venezia" di Carlo Mazzacurati

Marsilio manda in libreria il documentario che Carlo Mazzacurati ha presentato fuori concorso alla 67esima edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia (libro e DVD, euro 16,50). Sei Venezia è un titolo che felicemente gioca sul verbo essere (seconda persona singolare indicativo presente) e sul numero 6, come appunto i sestieri della città, le ore che costituiscono gli intervalli delle maree e come le storie dei protagonisti del DVD, scelti tra gli abitanti di una città che il regista sa restituire libera e vitale, fuori dai cliché del turismo di massa, in perenne contatto e conflitto con un'idea di dissoluzione che sembra essere anche il suo principio di salvezza attraverso i secoli. Il libro è corredato da una lunga e bella intervista di Sara D'Ascenzo che guida passo passo il regista nella ricostruzione del girato, delle scelte, delle scene, del prezioso contributo dei collaboratori, tra i quali va senza dubbio menzionato Claudio Piersanti. Il risultato è un film che racconta storie ed emoziona, inventando nuovamente la città d'acqua per antonomasia, la città del respiro regolare delle maree. 

Il presente simil-cofanetto era già uscito in un'edizione fuori commercio per il Consorzio Venezia Nuova, l'ente che si occupa della salvaguardia di Venezia e della laguna. L'idea di un film per coinvolgere la città nei temi della salvaguardia è antica. Antica anche l'idea di affidare il progetto a Mazzacurati. Per vari motivi, l'originario progetto del Consorzio Venezia Nuova di un film su Venezia da affidare a Mazzacurati non ebbe seguito. Molti anni più tardi, con una sceneggiatura ovviamente rivisitata, in digitale e non in pellicola, il film s'è fatto e merita l'attenzione di tutti quelli che hanno a cuore i temi della salvaguardia e del fragile equilibrio di acqua e pietra, di laguna e sestieri.


Sei Venezia è un film dove la città nota diventa sfondo e dove salgono in primo piano le storie, le persone, i volti, i lavori e le attività alle quali magari difficilmente penseremmo; è anche un film sul pudore, sulla distanza tra chi guarda e chi parla davanti la macchina da presa. Su questo punto è molto interessante una risposta dell'intervista contenuta nel breve libro:


"Il pudore è un sentimento interessante in questo lavoro, perché è un valore che stabilisce una relazione tra chi guarda e chi parla e che contempla delle necessarie omissioni, è un patto che aleggia, un tono, un equilibrio che si è creato e che magari dipende semplicemente dalla mia timidezza."

Bello anche il perimetro musicale di questo esagono, con quelle musiche di Eleni Karaindrou che magari avrete imparato ad amare tra le colonne sonore e portanti dei film di Theo Anghelopoulos e nelle puntuali riproposizioni che ne ha fatto in CD l'etichetta bavarese ECM, e che qui, in una sorta di aria bizantina che mai cede a bizantinismi, accomunano queste vicine terre di mare, questi plurali d'acque che si radunano nel singolare di un'acqua che offre sempre il motivo della bellezza specchiata e rinnovata.


Chi sono i sei personaggi? Troviamo l'archivista volontario, la cameriera dell'hotel più famoso della città, un archeologo per passione e assai competente che ha dedicato la vita al tentativo di retrodatare la fondazione della città, Carlo il pittore eccentrico che finisce ad avere sbocchi commerciali in Giappone, Ramiro l'ex malavitoso e un tredicenne che apre ad una grande tenerezza.


Nell'intervista è racchiusa anche un'importante parentesi di metacinema. Mazzacurati offre il proprio ricordo del più bel film su Venezia, il Casanova di Fellini, un film che non fu nemmeno girato a Venezia, e dove genialmente un cellophane rende poeticamente la visione della laguna congelata. Qui ritorna Andrea Zanzotto (del quale sarebbe opportuno riprendere due prose ineguagliate su Venezia contenute in Sull'Altopiano e prose varie), quella famosa lettera del regista indirizzata al poeta e pubblicata anche in Filò, quella richiesta di aiuto a "... rompere l'opacità, la convenzione del dialetto veneto che, come tutti i dialetti, si è raggelato in una cifra disemozionata e stucchevole". Un ricordo importante questo, perché collegato e in un certo qual modo parellelo alla stessa narrazione del regista padovano, alle prese con la città della dissipazione turistica.


Scrive Ermanno Cavazzoni nella sua convincente Postfazione: "La laguna è come un grande animale vivente che vive lì da alcune migliaia di anni, e che forse un giorno se ne andrà se farà troppa fatica a respirare, se il clima non gli piacerà più; e Venezia allora chissà se sarà sommersa, se sprofonderà o se diventerà una città asfaltata all'asciutto". Se ritorniamo all'incipit, all'idea originaria di questo film legato ai temi della salvaguardia possiamo capacitarci di come oggi questa "salvaguardia" passi necessariamente per una salvaguardia delle storie, del racconto, delle persone che con i propri movimenti tracciano il cardo e il decumano di uno dei più magnifici luoghi del possibile dove la vita possa riconoscere l'altro e riconoscere sé; così, anche noi, ci accorgiamo "[...] pur se quello che ci sta negli occhi sembra un sole calante, di essere stati fatti produttivamente ciechi da quell'eccesso luminoso di vita che Venezia, non assalendo, ma anzi sottraendosi nei suoi «forse» più carezzevolmente fluidi è stata e continua ad essere". Sei Venezia titola Mazzacurati con l'aiuto del produttore esecutivo Giacomo Gagliardo, Venezia, forse intitolava Zanzotto la sua prosa dalla quale ho preso a prestito la citazione finale.

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