giovedì 18 ottobre 2012

"Contro le radici". Maurizio Bettini e l'analisi della metafora "arboricola"

Contro le radici è un piccolo libro appartanente all'interessante collana "Voci" de Il Mulino (pp. 107, euro 10). Non è recentissimo, è del 2011, ma la cosa positiva di un blog come questo è che di un libro si può parlare senza patemi anche quando non è freschissima novità oppure titolo dimenticato, di cui caldeggiare la rilettura e la ripubblicazione. L'ha scritto Maurizio Bettini, brillante filologo e fautore, in Italia ma non solo, di quel fecondo innesto dell'antropologia nello studio del mondo antico. Nelle primissime pagine è già chiarissimo da dove parte e dove intende arrivare quest'efficace pamphlet: "[...] viviamo immersi in un'antropologia (reale) dell'omologazione e ce ne creiamo una (immaginaria) della differenza". Siamo tutti più simili, a Rio de Janeiro come a Pechino, e allora necessitiamo di crearci un'identità per differenza, attraverso una tradizione, spesso inventata. La chiave di volta dell'intera argomentazione di Bettini, che poi trova il fondamento nel peculiare e lungo percorso del filologo-antropologo, è nell'analisi e, per molti versi, nell'attacco al paradigma arboricolo delle radici oggi vigente. Per spiegare l'identità si ricorre spesso a quest'immagine (pericolosa) delle radici. Ricorderete ad esempio le polemiche sulle parole da usare nella nascente Costituzione Europea e la diatriba sull'opportunità di far riferimento o meno alle "radici cristiane" del continente. La diffusione del paradigma-metafora arboricolo delle radici è trasversale, però non rende giustizia della complessità del mondo attuale, dei delicati equilibri elastici che si frappongono fra quelle tre parole-chiave del sottotitolo: tradizione, identità, memoria. La prima è spesso inventata, la seconda è conseguentemente una creazione ad hoc e qualsiasi operazione riguardante la terza assume da sempre contorni fragilissimi e delicati, visto che si ricorda ciò che si decide di ricordare e ciò che si vuole ricordare. Anche in questa cornice possiamo allora leggere le pagine sul compito, davvero proibitivo, del nuovo disegno del sistema dell'istruzione e dei testi-saperi da conoscere e studiare.

Data la vaghezza di qualsiasi discussione sull'identità, Bettini riconosce, quasi a malincuore, la necessità del ricorso ad una metafora per poter parlare con maggior rispetto delle distanze, maggior giustizia e prensilità di quelle tre parole del sottotitolo. E allora, opponendosi all'immagine statica e verticale dell'albero radicato nella terra (torna spesso nel testo l'analisi dello statuto fondativo di una scuola lombarda di ispirazione leghista), Bettini propone l'immagine orizzontale, mobile, torbida (ma anche limpida) del fiume. La metafora del fiume, che comunque l'autore accetta come male minore, è più rispettosa del flusso di storia che va a costituire il reale. Se la facciamo nostra, possiamo allora vivere una tradizione senza esserne ossessionati o, peggio, prigionieri. La memoria, allo stesso tempo, non è una sorta di mappa data una volta per tutte nella quale orientarsi per leggere passato, presente e futuro. Più probabile che diventi una mappa in divenire, che si collochi come mappa di una soggettività nuova, senza ossessioni, rivendicazioni e vendette identitarie, che tenga al riparo tutti da quel determinismo delle radici che compare ogni qual volta cediamo ad una narrazione che s'affida alla metafora arboricola. Si ricava subito allora l'importanza del passaggio del fiume sul suolo, di ciò che ha orizzontalmente accolto, delle anse create - aggiungo io delle sfumature visibili tra letto, greto, golena, paleoalvei, della differenza tra fiumi di risorgiva e fiumi di montagna - e poi degli affluenti che ha progressivamente accolto nel suo bacino, della morfologia che ha contribuito a creare e di quella che ha incessantemente distrutto e rimodellato. Fuor di metafora, ritroviamo la complessità giustamente estrema nel dover maneggiare quelle tre parole del sottotitolo, che hanno creato spesso devastazione ogni qual volta si sono trasformate in vessillo. A tal proposito Bettini ricorda quel che è accaduto in Ruanda tra Hutu e Tutsi. Le cause di quel genocidio e di quell'odio sono diretta discendenza delle percezioni "di differenza" introdotte, ingigantite e avallate dal colonialismo tedesco e belga, sfociate in un genocidio allucinante e terribilmente controverso, dove tutta la cosiddetta Comunità Internazionale ha pesanti responsabilità (il tema era stato già brillantemente trattato in uno degli interessanti lavori di Michela Fusaschi, Hutu-Tutsi. Alle radici del genocidio rwandese, del 2000). Il caso del Ruanda (ma ce ne sono altri) è un caso limite e ci riporta dritti ai temi ribollenti nel titolo e sottotitolo: in nome delle radici, dell'identità, delle tradizioni sono stati perpetrati i misfatti più inauditi. Questo al grado massimo, mentre al grado minimo o iniziale (se così ci accontentiamo di chiamarlo), in nome delle radici, si rischia sempre di perdere una lettura "buona" del reale, preparandosi a covare una lettura autenticamente "cattiva". Lascio a voi la comprensione di questa coppia di antonimi forse banali (non mi viene per ora una coppia di contrari più adatta, al momento). La tranquilla, idilliaca e statica metafora arboricola è forse più pericolosa di un fiume torbido in piena. L'invito di Bettini a tenere alta la guardia è stato consegnato a questo breve libro e passa a noi in tutta la sua estrema complessità, proprio in un tempo triste ribollente di revival folcloristici e rievocazioni storiche (ma vi siete mai soffermati, ad esempio, sull'assurdità del concetto paradossale di "rievocazione storica"? E quanti soldi sembrano esserci per queste "rievocazioni", a partire dagli impeccabili indumenti che indossano i figuranti). Noi dovremmo forse individuare i nostri giganti e salire ancora una volta sulle loro spalle, per capire meglio il tratto di fiume che ci ha portati qui, per fuggire o guadare i paradossi della tradizione e dell'ossessione identitaria.

1 commento:

  1. Ho letto questo libro, lo consiglio, lo consiglio a tutti, davvero. Vince

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