martedì 11 settembre 2012

Reiner Kunze e "Gli anni meravigliosi"

Riletture di classici o quasi classici (dentro o fuori catalogo) #10












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Per me non si tratta di una rilettura, ma di una primissima lettura. Lo dico perché la rilettura ha percorsi e risorse sue, inalienabili, diversamente dalla prima lettura. Ma dato il successo che questo libro conobbe nella seconda metà dei Settanta, per qualcuno potrebbe trattarsi di una vera e propria rilettura. Per questo lo propongo all'interno delle "riletture" di Librobreve. Non so poi se Reiner Kunze possa essere considerato un classico. Sicuramente è un autore importante, un poeta che merita di esser riaperto (e magari torneremo anche sulla sua poesia tra un po'). Il libro di prosa di cui parlo invece, pur in catalogo, sembra ormai di quasi impossibile reperibilità. Non è pensabile che un editore come Adelphi tenga in vita tutti i libri pubblicati, sarebbe insostenibile, anche se, il linea teorica, per la particolare concezione dell'arte dell'editoria e del catalogo della casa editrice milanese, forse avrebbe senso che il catalogo fosse sempre, nella sua interezza, in vita. Una concezione che risale forse a Kurt Wolff. A tal proposito, facendo simili ragionamenti, mi è tornato in mente un saggio apparso una decina d'anni fa su Adelphiana, L'editoria come genere letterario, ora reperibile su web a questo indirizzo. Lo trovai e lo trovo tuttora interessante.
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Nella DDR la poesia era una cosa seria, sentita, seguita. Il lascito di poeti che hanno vissuto nella Germania dell'Est è tuttora vivo, da perlustrare, forse persino più echeggiante di quello che proveniva dall'altra parte della cortina. Reiner Kunze (1933) scrisse poesie molto belle. Scrisse anche delle prose, a volte brevissime come le sue poesie, confluite in un piccolo libro molto fortunato che nel 1977 si aggiudicò il Georg Büchner Preis, tra i massimi riconoscimenti letterari tedesco-occidentali. Die wunderbaren Jahre, uscito l'anno prima, conobbe infatti un successo immediato, quasi folgorante. Venne presto tradotto in molte lingue. In Italia se l'accaparrò Adelphi, che affidò la traduzione a Guido Smeducci (1978, pp. 109, costava L. 3500 la copia in mano mia). Gli anni meravigliosi rappresenta il libro dell'abbandono della DDR da parte di Kunze, stabilitosi poi in Baviera. E non poteva essere diversamente, dati i contenuti dell'opera. All'epoca, si capisce, l'interesse che simili libri potevano riscuotere era ben maggiore. Queste prose in punta di piedi, apodittiche, ironiche e inclinate nel dettato apparivano come un'apertura su un mondo sconosciuto, misterioso. Oggi probabilmente sono altri i muri e le cortine che alzano il livello di interesse dei lettori e conseguentemente il successo commerciale di un libro. Eppure credo ci siano più ragioni per leggere e rileggere libri come questo e, dal punto di vista di un editore, motivi per riproporli senza rischiare di essere demodé, non da ultimo la bellezza intrinseca di cui vibrano.

La dissidenza esercitata da Kunze non fu tra le più agguerrite. Tuttavia, per i contenuti di questo libro, nel 1977 Kunze fu espatriato. Non so se il successo del libro, all'epoca, fosse imputabile anche alla composizione formale, una sorta di libro di vignette senza disegni montate abilmente dall'autore-regista-padre che osserva il percorso della figlia, o dal regista-editore passato alla vicina Cecoslovacchia, da dove Kunze fa filtrare il fiore di quel verso (Kunze tradusse molta poesia ceca). Kunze sembra nascondersi dentro queste prose brevi e frammentate, eppure è così visibile, anche quando compie determinate scelte tipografiche di impaginazione come nella prosa Concerto d'organo (Toccata e fuga). Ipotizzo risieda anche in questa convivenza di poeta e narratore la scaturigine della forma originalissima di questo libro, cadenzata su piccoli sussulti di stupore e scoperta. La frammentazione, intonata anche dal susseguirsi dei titoli delle singole prose-poesie, restituisce efficacemente la saturazione di una mancata meraviglia, in antifrasi col titolo del libro, l'ipercombustione di ogni gesto e di ogni desiderio che diventa così un principio di soffocamento anziché l'attacco di un respiro, come in questa Sette anni:

Impugna un revolver per mano, dal petto gli pende un mitragliatore-giocattolo.
«Cosa dice tua madre di queste armi?».
«È stata lei a comprarmele».
«Per farne che?».
«Contro i cattivi».
«E chi è buono?».
«Lenin».
«Lenin? E chi è?».
Si sforza di pensare, ma non sa rispondere.
«Non sai chi è Lenin?».
«Il capitano».

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