domenica 17 giugno 2012

"Cucarachas" di Lello Voce

Ripescaggi #14





 
 
 
 
 
 
 
 
 
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Penso abbia più di dieci anni questa recensione. La memoria non dovrebbe tradirmi qui e posso andar sul sicuro nel dirvi che si tratta di un testo che usci sulla rivista "daemon", a ridosso della pubblicazione di questo romanzo di Voce (DeriveApprodi, 2001, € 9,30, su Ibs.it sembra ancora disponibile come remainder per chi fosse eventualmente interessato, data la difficile reperibilità).
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Cucarachas è la seconda opera narrativa di Lello Voce. Segue di un paio d’anni Eroina, primo romanzo che uscì per Transeuropa nel 1999. Il protagonista si chiama ancora Enrico, ancora un intellettuale tossicodipendente stavolta alle prese con un microcosmo carcerario che farà da scena per tutto il romanzo.

Raro (unico?) esempio di romanzo portato a termine sul web, in diretta on-line (su bel sito di Raisatzoom: Rai fa le cose per bene - e meglio - su Internet, a quanto pare) questo Cucarachas assume proprio la diretta degli eventi come importante elemento di derealizzazione. Il romanzo mette in scena le vicende di un tossico incarcerato alle prese con la quotidianità della cella del Braccio Agrigento, fatta di utopiche rivolte, riflessioni, soprusi, colloqui. I capitoli del libro sono – formalmente –  dieci lettere che Enrico rivolge alla madre.

La presenza di Teo, il raffinato e colto scarafaggio compagno di viaggio di Enrico, non va letta come una facile reminiscenza kafkiana o come un pretesto per mettere in scena il classico gioco dell’alienazione. Teo è l’asciutta presenza di una lucidità che appare come la grande assente nelle vicende narrate e che tuttavia, invece, riemerge assieme al vivo pulsare di un mondo esterno che trova collocazione nell’universo carcerario narrato dal protagonista. Sembra quasi che Voce instauri una prevalenza del qui (della circostanza) sull’io.

Gustosissime le pagine sulla PM che interroga Enrico, per la quale viene  coniato il verbo “fonosocializzare”, con riferimento alle continue chiacchierate al telefono cellulare che interrompono gli interrogatori. Ma questo è solo un punto di un lavoro che, a livello linguistico, cerca di incrociare e far coesistere svariate dimensioni lessicali, sintattiche e diverse densità. La circoscrizione della scena (il solo carcere) consente un reciproco trasformarsi dei tempi della narrazione in spazi e degli spazi dell’azione in diversi tempi. Questa, perlomeno, sembra una possibile chiave che armonizza la lettura.

Sono questi alcuni risultati di una prova narrativa che cerca apertamente di confrontarsi, anche dal punto di vista teorico e poetico, col problema della narrazione nel tempo contemporaneo. Tornano, talvolta, alla mente certi colloqui che, nel campo filmico-documentaristico, Voce intrattenne con Giacomo Verde sulle pagine di Baldus. “Non illuderti che io possa, o voglia, dirti qualcosa in più. Che possa consolarti d'innocenza, o tragediarti di colpa gravissima e inespiabile... Io non lo so, non ricordo. Sono il solito incapace, mi dispiace. Da ere immemorabili vivo in un tempo immobile, senza passato né futuro, tutto un susseguirsi di presente su presente, di fogli di un calendario già sfogliato che si riappiccicano uno sull'altro e poi, dopo, quando vorresti ricordare, non riesci più a scollarli l'uno dall'altro, tanto l'uno vale l'altro. Un susseguirsi continuo di ieri mascherati da domani. Come tutti gli altri. Come te. Presentificati tutti a morte. Il mio tempo come il vostro, che fate finta di poter ricordare, il mio reso soltanto più puntuale, aguzzo da qualche puntura giornaliera, ma, ahimè, vietatissima…”

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