domenica 18 dicembre 2011

"L'esperienza della neve" di Francesco Scarabicchi

Ripescaggi #7









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Torno a rimettere in circolo con questi frequenti "ripescaggi" testi scritti anni fa. Alla fine scrivevo di libri brevi anche allora! E volentieri pubblico un post su Francesco Scarabicchi, con una mia breve recensione pubblicata da "Semicerchio" e dedicata a L’esperienza della neve (Donzelli, 2003, pp. 144, euro 11,00). Negli ultimi anni sono usciti altri importanti libri di questo poeta marchigiano, per Donzelli e per le edizioni dell'Associazione Edizioni L'Obliquo. La collana di poesia di Donzelli, spesso oscurata da collane con più "brand" ma, a volte, con meno sostanza, inaugurata tra l'altro da un indimenticabile Meteo di Andrea Zanzotto, si sta arricchendo di libri importanti. Penso anche al "recente" I mondi di Guido Mazzoni, un notevolissimo esordio poetico. Il libro di Mazzoni data 2010, ma non è escluso che possa scriverne (intanto vi rimando ad un ricco e davvero imperdibile assaggio qui, dove ritrovo anche la mia preferita: AZ 626).
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Francesco Scarabicchi (Ancona 1951) approda alla collana di poesia di un importante editore nazionale. Il suo percorso era comunque di tutto rispetto: le sue principali opere, poetiche e di traduzione, sono uscite per L’Obliquo, raffinato editore di Brescia, mentre da PeQuod uscì, nel 2001, un’autoantologia accompagnata da una nota di Pier Vincenzo Mengaldo. Più che una consacrazione, si tratta quindi della possibilità offerta a un vero poeta di poter raggiungere un pubblico allargato.

La sua lirica non è affatto ‘facile’. Sebbene il dettato si possa far risalire alla tradizione di un monolinguismo latamente ‘petrarchista’, perlustrato nelle sue possibilità conoscitive più nascoste, il lettore è chiamato ad uno sforzo di concentrazione notevole. Vi troviamo un lessico ridotto, rastremato fino a comporsi, per esempio, dei soli elementi legati al tempo meteorologico e al tempo della giornata: «Questa pioggia che senti / giovane lungo i muri // picchia, se fai silenzio, / ai nostri vetri, // bagna inferriate e foglie, / crolla dalle grondaie, // allaga il buio, / cancella ponti e polvere // e scompare». Altrove Scarabicchi, puntando a quella brevitas che appare essere un caposaldo della sua poesia, scrive: «Quanto tempo del tempo muore eterno, / alba di mute porte, nomi che parleranno». È allora di grande interesse quanto afferma l’autore nella nota finale del libro: «l’ho composto come una sorta di epistolario in versi [...] perseguendo l’utopia di una parola che niente altro dica se non la necessaria verità di quanto accade nell’anonimato e negli invisibili interstizi del tempo irreperibile della vita di tutti, nominando, come suggerisce un verso delle Missive, ‘quel che al sole resiste e al freddo inverno’, concentrando un’attenzione sensibile nei confronti del presente».

Le Missive costituiscono una delle sezioni di cui si compone quest’opera, uno dei punti in cui si manifesta più forte questa utopia della parola, la quale diventa chiaramente l’aspetto più nuovo introdotto dalla scrittura del poeta marchigiano. È qui che la poesia di Scarabicchi conferma quanto non sia che apparente la sua ‘facilità’. Ma è altrettanto vero che qui il lettore di poesia riconoscerà la vera forza del libro. Si torna dunque a parlare di Utopia, un luogo che non c’è nella realtà, ma che si manifesta sempre come una scommessa per la letteratura. L’Utopia conduce anche a discutere di etica in poesia. L’Utopia può farsi carico dell’eticità della poesia quando, definendo apertamente il proprio raggio d’azione ideale, contemporaneamente riconosce anche i limiti – spaziali e temporali – propri della scrittura poetica.

1 commento:

  1. "Quel che al sole resiste e al freddo inverno" che cos'è? Direi l'essenzialità nitida e scabra della parola poetica di un poeta vero come Francesco Schiribicchi, attento ascoltatore della pioggia, del mare e del variare della luce sulle cose che, appunto, resistono, isole di eternità nell'oceano del tempo...

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